Fase “n”, quale normalità

“Fase 2”, “Fase 3″… arriveremo poi alla “fase n”, quella del ritorno alla normalità. E qui si avverte il timore che “non sarà come prima”. Faremmo bene però a non mitizzare il “prima”. Già nel Qohèlet troviamo la diffida a non considerare necessariamente migliori i tempi passati: Non dire: “Come mai i tempi passati sono migliori di questi?” poiché non chiederesti in modo saggio (Eccle. 7:10). Può darsi che alcune cose saranno diverse perché le circostanze ce lo imporranno. Altre potranno invece essere diverse se lo vorremo, facendo sì che assieme a tante perdite e tanto dolore, questa pandemia ci lasci alla fine anche qualcosa di buono. Uno dei timori di cui tanto si parla è quello che quando tutto sarà passato ci si possa ritrovare fuori dal mondo lavorativo, non più utili, non più necessari. Così nascono gli appelli a “non escludere gli under-40 dalla ripresa” così come quelli a “non escludere gli anziani”. Questo è un problema in realtà già presente da prima del covid-19, tema spesso affrontato dal prof. Yuval Noah Harari: come occupare il tempo per le persone che non saranno più necessarie al mondo del lavoro (si veda ad es. il suo libro 21 lezioni per il XXI secolo). Proprio l’emergenza che stiamo vivendo sembra dare una risposta positiva a questo quesito sociologico-esistenziale: abbiamo più interessi, più inclinazione allo studio, di quanto “sospettassimo”. L’abbondanza di lezioni online, seguitissime, proposte dalle nostre istituzioni nonché da privati, ne rende meravigliosamente conto. E allora ecco una prima possibile conclusione per la “fase n”: ricordiamoci dell’insegnamento di Hillèl, “non dire quando mi libererò dagli impegni studierò, perché forse non ti libererai” (Pirkè Avòt, 2:4), ossia non aspettiamo che qualcosa ci costringa a casa, possiamo e dobbiamo decidere che ci sono degli orari in cui studiare, o come dicono i Maestri “stabilire degli orari fissi per la Torah” (a rafforzare il concetto, vi è l’idea che questa domanda verrà posta ad ogni persona nel mondo a venire… proprio insieme alla domanda se abbia lavorato onestamente e a quella se abbia cresciuto figli. Torah, onesto lavoro, famiglia vanno assieme e di questo dovremo dar conto). Si potrebbe estendere oltre l’idea: se c’è stato un periodo in cui siamo stati forzatamente inattivi nel lavoro o comunque soggetti a restrizioni, potremmo recuperare l’antica idea dell’anno sabbatico, ossia considerare dei periodi di interruzione. In questo caso l’organizzazione è certamente più articolata e i dettagli sono tutti da pensare, ma il principio è lo stesso: stabilire questi tempi senza che siano circostanze esterne a imporceli all’improvviso. E soprattutto, al posto della spasmodica ricerca del cosa fare fuori da casa in ogni momento libero, essere inclini a ricercare dentro di noi i nostri interessi. Con queste premesse, quel minaccioso “non sarà mai come prima” potrebbe invece suonare come una promessa. Che starà a noi stessi rispettare.

Rav Michael Ascoli