Fiduciosi e sospettosi

Finalmente, tutti liberi! Dopo due mesi e passa si esce per cercare di riprendere la vita di sempre. Che tuttavia, lo si sa bene, non è davvero la vita di sempre. Si passeggia, ci si pone una meta con i pretesti più strani, si va al supermercato a prendere un indispensabile sacchetto di noccioline, ci si ferma a parlare con l’amico come se non ci si vedesse da anni. Si rifà l’esperienza dell’incontro casuale. Ed è qui che si scopre che tutta l’umanità si riconduce a due sole tipologie di persone: i fiduciosi e i sospettosi.
I fiduciosi si avvicinano senza esitazione alle persone che conoscono, non le toccano, ma tengono la mascherina inutile e sconsolata sotto il mento e non si curano di indossare guanti, segno di servile sottomissione alle regole. Sanno per certo di essere sani, e per certo sanno che le persone che incontrano e conoscono sono sane. Non hanno dubbi, il loro è un mondo di certezze. Il virus attacca solo gli altri, i predestinati, i malati per eccellenza, i pavidi e gli emaciati. E poi, le regole hanno sempre diritto alle eccezioni, e loro sono l’eccezione, senza la quale la regola non si conferma. Spavaldi, assertivi e burbanzosi, avanzano ritti verso il futuro.
I sospettosi, d’altro canto, si muovono giustamente guardinghi per confermare il loro essere. Non si fidano di chi incontrano, vedono virus ovunque, cercano di sfuggire lo sguardo degli amici per timore di doversi fermare a salutare rischiando il contagio. I più cauti di loro se ne rimangono infatti rinchiusi nella loro prigione casalinga, in attesa che gli scienziati si mettano d’accordo sulle modalità preventive e sulle cure. Non si fidano di nulla di ciò che sentono e leggono, e sono solo in attesa, unica loro fiduciosa certezza, della smentita ufficiale del giorno dopo.
Il reciproco sospetto con cui fiduciosi e sospettosi si scrutano curiosi è l’unica cosa che li dichiara appartenenti alla medesima umanità. Gli uni, con il ghigno di chi osserva l’altro sottoporsi a sofferte e superflue precauzioni, ché tanto nella tomba, prima o poi, ci finiremo tutti. Gli altri, con il freddo cinismo di chi si aspetta che l’altro gli crolli morto all’improvviso sotto gli occhi, sorpreso dalla spiacevole scoperta della propria inaspettata fragilità.
Ritornati alla vita, non sapevamo che l’illuminazione ci attendesse dietro l’angolo, con uno starnuto virale.
Nel frattempo, i giovani si immunizzano – forse. Io speriamo che me la cavo.

Dario Calimani, Università di Venezia