Un bene essenziale
Non c’è dubbio che il Covid 19 segnerà una netta cesura nella storia mondiale, dividendo tutti gli aspetti del vivere sociale in un “prima” e un “dopo”. Non c’è, infatti, nessun settore dell’azione e del pensiero umani – sanità, economia, politica, tecnologia, trasporti, gestione, arte, religione… – che non sia stato profondamente modificato da quanto è accaduto e sta accadendo. Perfino gli animali, se avessero una capacità di memoria ed elaborazione culturale (ma lo si può escludere in modo tassativo?) hanno capito che la loro vita è cambiata, da qualche mese, e decisamente in meglio. La mattina “udiamo augelli far festa”, e sul web si sono moltiplicate le immagini di scoiattoli, volpi, anatre, cinghiali, delfini, pescecani che si riappropriano felici dei loro spazi, riassaporando una libertà perduta, non avvertendo più, vicino a loro, la presenza ostile del loro nemico di sempre, l’uomo. Non sanno, poverini, che la “pacchia” finirà presto, che noi ci siamo ancora, e torneremo. Migliori? Più responsabili, umili e rispettosi del creato? Mah… Spes, ultima dea…
Quali, dei valori e dei punti di riferimento usuali, con cui siamo stati chiamati a convivere, negli ultimi decenni, o negli ultimi secoli, cambierà maggiormente? E in che modo, in che direzione? Cambierà il rapporto di priorità tra libertà e responsabilità, tra diritti soggettivi e potere politico? Cosa prevarrà, tra salute e lavoro, sicurezza e socializzazione? Cosa avrà la prevalenza, la medicina o l’economia? Sarà considerato prioritario non essere contagiati da un virus, o evitare di morire di fame?
Difficile rispondere. Certamente, tutti i principali valori enunciati nella nostra Costituzione repubblicana – democrazia, lavoro, libertà, dignità – dovranno essere ripensati, rimodulati. Ma ce n’è uno, non menzionato nella nostra Carta fondamentale, che credo dovrà emergere, alla fine di questo lungo tunnel, come primario e ineludibile, ed è il concetto di relazione. Relazione tra l’uomo e i suoi simili, e tra l’uomo e il creato.
Se, com’è noto, la Costituzione americana riconosce formalmente un “diritto a perseguire la felicità”, una tale aspettativa non appare garantita, formalmente, nella nostra Grundnorm. Come potrebbe mai uno Stato assicurare ai suoi cittadini il diritto di essere felici? O di cercare di esserlo? Non sono stati, questi della pandemia, i primi giorni in cui l’umanità conosce delle forme collettive di dolore, sofferenza, morte. Ve ne sono state, nel secolo scorso, di ben più ampie e distruttive, e la storia ci trasmette racconti terribili delle guerre e pestilenze che hanno periodicamente falciato alte percentuali della popolazione.
Quel che mi pare nuovo, in questi tempi così difficili, è stata la triste privazione delle relazioni umane a cui tanti malati sono stati costretti negli ultimi giorni della loro vita. Si stringe il cuore a pensare cosa devono avere sentito, nel loro cuore, persone anziane, magari non perfettamente lucide, nel vedersi trasferire in case di cura senza poter vedere vicino alcun viso amico e familiare. I medici, gli infermieri, per quanto umani e sensibili potessero essere, erano coperti da maschere, o da scafandri, non potevano offrire un vera presenza umana. Tante persone fragili, nel sentirsi mancare il respiro, avranno invocato il nome di coniugi, figli, nipoti, senza vedere arrivare nessuno. Molti di loro avranno concluso la loro esistenza nella terribile sensazione di essere stati dimenticati, buttati via.
Morire non è mai piacevole, e non è neanche la prima volta che la morte è segnata dalla solitudine. “Quando si muore, – recita la canzone di Fabrizio De André – si muore soli”. Ma, in altri frangenti, poteva almeno esserci una mano sulla mano, la carezza di un familiare, la parola di conforto di un compagno d’armi o di prigionia. Stavolta l’epidemia ha alzato un muro gelido, che ha interrotto la relazione umana nel momento in cui ci sarebbe stato maggiore bisogno di essa.
Credo che la principale, crudele lezione che ci ha impartito il Corona sia stata proprio quella che la relazione tra gli uomini è un bene essenziale, e che non è affatto scontato. In genere siamo stati abituati a pensare che la sua assenza sia dovuta alla durezza di cuore, l’insensibilità degli uomini, come dalla famosa risposta di Caino al Signore (“sono forse il guardiano di mio fratello?”). Oggi abbiamo imparato che la stessa, perfida natura può impedirla. Nessun farmaco, nessun vaccino, probabilmente, potrà mai assicurare a ogni uomo, nel momento di difficoltà, di essere sorretto da una relazione. Ma, se solo da quest’amara esperienza emergesse una maggiore consapevolezza di tale essenziale importanza della relazione umana, sarebbe, forse, già un significativo risultato.
Francesco Lucrezi
(6 maggio 2020)