Impazienza e attesa
“Mi chiamo Miloš Hrma”, ripete il giovane ferroviere, appena assunto in una piccola stazione del Protettorato di Boemia e Moravia occupato dalla Germania nazista. Miloš è il protagonista del breve romanzo di Bohumil Hrabal “Treni strettamente sorvegliati”, da cui nel 1963 il regista Jiří Menzel ha tratto un film considerato tra i più significativi del nuovo cinema cecoslovacco che negli anni sessanta vive la propria stagione migliore. Miloš, che è impacciato con le ragazze, quando riesce a superare il problema che lo opprime sceglierà la via della resistenza contro l’occupazione, indicata dal capomanovra Hubička (lui sì un uomo vero).
È in fondo l’impazienza la malattia di cui soffre Miloš, la stessa di Napoleone nei “Cento giorni” di Joseph Roth. Non gli interessa il viaggio ma la meta, non il giorno ma il tramonto, non vivere ma aver vissuto. Come il giovane ferroviere di Hrabal entra nella storia quando con l’aiuto di Hubička e della staffetta partigiana che si fa chiamare Viktoria Freie vince il suo problema, così Napoleone si avvicina alla sconfitta definitiva quando, nei cento giorni che corrono dalla fuga dall’Elba a Waterloo, aspira non a fare, ma ad aver (già da sempre) terminato.
La situazione in cui tutti noi viviamo in questo periodo in qualche modo richiama quella di Miloš e del grande generale còrso. Da pochi giorni le misure per il contenimento della pandemia sono state allentate, ma l’apertura di attività e possibilità è e sarà progressiva, le difficoltà enormi. Sarà ancora l’attesa, e non il raggiungimento immediato della desiderata normalità, a dominare le vite. Un percorso ricco di esperienze, per parafrasare il libro gioioso di Hrabal. Tardare ad avere quello che più si ama in modo da raggiungerlo è forse quello che possiamo imparare dal giovane Miloš, e che perfino all’imperatore dei francesi sfuggiva.
Giorgio Berruto