Una tesi da non accettare
Se si accetta la frase attribuita a Enrico IV con la quale il Borbone creò le condizioni per la sua elevazione a re di Francia convertendosi dalla religione riformata a quella cattolica, allora si può accettare anche la conversione di Silvia Romano all’Islam per aver salva la vita. Solo che tutti gli storici sono concordi nel sostenere che quella di Enrico IV fu un’abile mossa politica che permise alla Francia di chiudere il periodo delle guerre di religione, ma nessuno si è mai sognato di affermare che quella conversione fosse dovuta a un fatto di coscienza: era una mossa politica e niente di più. Nel caso di Silvia Romano c’è invece qualcuno che afferma che si tratta di una conversione “genuina”, “autentica” e che comunque si tratta di qualcosa che riguarda solo lei e via di questo passo.
Dopo più di diciotto mesi trascorsi in balia dei suoi rapitori, nelle condizioni che si possono immaginare, con le pressioni (ma si potrebbe dire le torture psicologiche) e i ricatti a cui è stata sottoposta, non so come si possa parlare di conversione “genuina”. Né vale affidarsi alle sue dichiarazioni secondo le quali sarebbe stata trattata benissimo e non avrebbe subito alcuna violenza. Molte altre volte si sono ascoltate dichiarazioni simili da parte di rapiti poi liberati e se ne comprende facilmente la radice psicologica; e comunque il rapimento e la detenzione per un tempo così lungo sono in sé un feroce atto di violenza. Chi ha saputo esprimere meglio la condizione di chi è stato rapito è stato Domenico Quirico su La Stampa di lunedì 11 maggio, perché Quirico ha vissuto lui stesso la terribile condizione del rapimento islamico: “Gli uomini di Al Shaabab, le loro opere criminali lo impregnano, ne fanno sentire la esplicita presenza in ogni piega. La seguono, non l’hanno liberata”.
Né può essere accettata la tesi di chi sostiene che, per quanto riguarda la sua conversione, si tratterebbe di affari suoi, di Silvia Romano. No, sono affari di tutti, perché se si accetta l’dea che sia lecita la conversione all’Islam per mezzo della violenza siamo già sulla strada di perdere la nostra libertà.
In realtà il quadro è chiarissimo, per chi lo vuol vedere senza paraocchi ideologici: una persona è stata rapita, è stata tenuta in prigionia per più di diciotto mesi in condizioni facilmente immaginabili, sottoposta a pressioni e a ricatti, questi sì facilmente immaginabili, e in conclusione si converte alla religione dei suoi carcerieri, cioè fa sue le ragioni dei suoi aguzzini. Lei stessa al ritorno dichiara che la sua conversione è stata “spontanea”! Ma dove viviamo? Di quali dibattiti e di quali approfondimenti c’è bisogno? Tutto è già avvenuto in passato e tutto è già stato scritto e dibattuto. Adesso è necessario soltanto ribadire che questa violenza è inaccettabile e che se è con questi metodi che l’Islam vuol estendere la sua influenza troverà sul suo cammino chi gli saprà opporsi, come già è avvenuto con il nazismo.
Poiché ho aperto ricordando la frase attribuita a Enrico IV, mi sia permesso di concludere ricordando quello che disse Benedetto Croce il 24 maggio 1929 intervenendo al Senato del Regno durante la discussione per la ratifica dei Patti Lateranensi, da lui fieramente avversati: “Accanto o di fronte agli uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri pei quali l’ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi, perché è affare di coscienza”. Evidentemente per qualcuno (e non mi riferisco a Silvia Romano) queste parole non significano niente.
Valentino Baldacci
(14 maggio 2020)