La Chiesa di Pio XII e i totalitarismi
Torna ad accendersi il dibattito sulle responsabilità della Chiesa di Pio XII nei confronti della Shoah, in concomitanza dell’apertura dell’Archivio Apostolico Vaticano (già Archivio Segreto) per gli anni del suo pontificato. E non manca chi, pur fra gli storici, avanza scoop azzardati, data la brevità del tempo concesso dall’epidemia di coronavirus ai ricercatori, una settimana appena, e il fatto che molte delle nuove scoperte non modificano che in minima parte realtà note da decenni alla storiografia (come ad esempio, a proposito della conoscenza da parte del Vaticano di quanto stava accadendo in Polonia, sappiamo già dal libro di Walter Laqueur del 1980).
Di tutt’altro tenore è il libro di David Bidussa La misura del potere. Pio XII e i totalitarismi tra il 1932 e il 1948, che esce in questi giorni per le edizioni Solferino. Un libro intelligente, innovativo e carico di suggestioni e di stimoli. Un libro inoltre che ha il grandissimo merito di ricollocare in un contesto assai più ampio, quello dell’atteggiamento della Chiesa di fronte ai totalitarismi e ai fascismi, il problema dello specifico ruolo di Pio XII di fronte allo sterminio nazista, con un approccio che consente di liberarsi finalmente dal confronto tra leggenda nera e leggenda rosa, diventate entrambe, più che uno stimolo, un vero e proprio ostacolo alla conoscenza. Il libro è, come dicevo, molto ricco e tocca temi di vasto respiro. Più che una recensione, queste mie note vogliono essere quindi soprattutto un invito alla discussione, un’apertura di dibattito, in cui mi soffermerò soprattutto sull’impianto generale del libro.
Al centro dello studio di Bidussa sono gli anni fra il 1932 e il 1948: sedici anni che vedono l’affermarsi dei fascismi e dei totalitarismi, le leggi razziste e l’antisemitismo razziale, la guerra di Spagna, la guerra, la Shoah, il dopoguerra e la nascita di Israele. Per la Chiesa, sono gli anni dei Concordati con fascismo e nazismo, del pontificato di due pontefici spesso contrapposti l’uno all’altro, dell’emergere di un razzismo basato sul sangue difficile da conciliare con la dottrina cattolica, della neutralità nel corso della guerra, del controverso atteggiamento di fronte alla Shoah, degli aiuti dati agli ebrei perseguitati, del ritorno ad un antigiudaismo che non avrà tuttavia vita lunga dato il peso della frattura che la guerra e la Shoah hanno avuto sull’Occidente e l’avvicinarsi della svolta conciliare. Merito grande del libro di Bidussa è quello di aver sempre tenuto presente il nesso tra le vicende storiche più generali e le scelte del papato. In questa prospettiva, assume particolare rilievo l’importanza attribuita alla guerra di Spagna, una guerra in cui tutti coloro che avrebbero combattuto il nazismo videro i prodromi della guerra, la sua anticamera (“Oggi in Spagna, domani in Italia”, affermava Carlo Rosselli) e in cui la Chiesa vide uno scontro di civiltà, una crociata da appoggiare senza tentennamenti. In quel contesto la difesa dell’identità nazionale cristiana era affidata alle armi di Mussolini e di Hitler. Un tema su cui poco si è riflettuto nel contesto più generale del rapporto tra Chiesa e totalitarismi e la cui analisi può aggiungere tasselli significativi di conoscenza a questi controversi problemi.
Oltre ad allargare il quadro storico complessivo, Bidussa si propone di estendere anche il quadro cronologico: ad essere analizzati non sono solo gli anni della guerra, ma anche quelli che li precedono e li seguono, che egli considera altrettanto importanti. Quelli cioè in cui la Chiesa elabora giudizi e politiche sui totalitarismi, come anche sui fascismi, e quelli che seguono, quelli della ripresa della tradizione antigiudaica, dello schierarsi della Chiesa in funzione anticomunista, della sua posizione rispetto alla nascita di Israele. Molto attento è inoltre l’autore a distinguere non solo fra le diversi posizioni all’interno della Chiesa ma anche sui mutamenti delle politiche della Chiesa nei confronti della guerra e quindi anche nei confronti della politica nazista di sterminio degli ebrei. La svolta tra una politica di neutralità ed una di avvicinamento alle potenze alleate è, analizza Bidussa, collocabile fra il 1942 e il 1943, accompagnata da un aumento della sensibilità, non solo della Chiesa ma in genere dell’episcopato sia in Italia che negli altri paesi occupati, nei confronti dello sterminio degli ebrei. Sono i mesi in cui, ad esempio, dopo la Rafle du Vel d’Hiv, molti vescovi francesi denunciano dai pulpiti le deportazioni, senza che i nazisti e i collaborazionisti di Vichy reagiscano ed anzi riuscendo ad impedire o a rallentare le deportazioni (contrariamente a quanto succede invece, com’è noto, in Olanda).
Parlare di atteggiamento della Chiesa verso i totalitarismi e non di Chiesa e Shoah, allargare quindi la prospettiva, contestualizzando la politica della Chiesa entro una storia più ampia che non riguarda solo gli ebrei e l’antisemitismo, offre alla ricerca e alla riflessione storica dei notevoli vantaggi. Il primo dei quali è quello di uscire da un’ottica giudeocentrica, quella legata per intenderci ad una concezione dogmatica della Shoah, che la vedeva come un capitolo assolutamente unico rispetto alla storia del mondo, un momento tragicamente glorioso dell’eterna storia ebraica. Un conseguenza che Bidussa non esplicita apertamente, ma che emerge con chiarezza dall’intero impianto del libro e che la frase di Claudio Pavone sulla storia come nemica di ogni fondamentalismo, posta come esergo al libro, non fa che confermare.
In sostanza, un libro che spero farà discutere, dal momento che si muove fuori dagli schemi precostituiti e dalle banalità del senso comune storiografico. Un libro di storia e di riflessione, un libro di cui c’era davvero bisogno.
Anna Foa, storica