Vercelli, le religioni unite contro il Covid

Anche la Comunità ebraica, rappresentata dalla sua presidente Rossella Bottini Treves, tra le istituzioni e comunità religiose che hanno partecipato a un incontro promosso dall’arcivescovado di Vercelli il cui obiettivo era quello di portare le diverse religioni a unirsi spiritualmente in un momento di preghiera e riflessione.
A prendere parte all’incontro, assieme all’arcivescovo Marco Arnolfo, c’erano tra gli altri il prefetto Francesco Garsia, alcuni rappresentanti del Comune e gli esponenti di varie confessioni. Nell’occasione la presidente Treves (nell’immagine) ha letto un messaggio del rav Elia Richetti, rabbino di riferimento della Comunità ebraica vercellese, in cui si ricorda come i Maestri dell’ebraismo insegnano che “ogni evento doloroso che colpisca il singolo o la collettività non deve essere lasciato passare fatalisticamente, ma deve essere opportunamente affrontato; dove possibile, combattuto, e comunque, considerato”.

Pentimento, preghiera e attenzione

Insegnano i Maestri dell’Ebraismo che ogni evento doloroso che colpisca il singolo o la collettività non deve essere lasciato passare fatalisticamente, ma deve essere opportunamente affrontato; dove possibile, combattuto, e comunque, considerato. Il combattimento, quando si tratta di qualcosa che riguarda la salute, sta nella profilassi e nelle terapie: seguire le istruzioni dei medici. Per il resto, dicono i Maestri, ogni sciagura va affrontata con tre strumenti: il pentimento, la preghiera e l’attenzione a chi ha bisogno.
Il pentimento non nasce dall’idea che una pandemia o qualcosa di simile sia punizione o conseguenza del nostro cattivo comportamento, ma piuttosto del fatto che fare attenzione a preservare se stessi è un’ottima occasione per soffermarci su noi stessi e cercare di migliorarci.
L’attenzione al bisognoso dev’essere la diretta conseguenza del renderci conto che se siamo colpiti dal male siamo in grado di capire di che cosa possa avere bisogno chi si trova nella nostra stessa situazione, se non in una peggiore; ed aiutandolo, ci accorgiamo spesso che il nostro disagio era inferiore a quello altrui, o a quello che percepivamo.
La preghiera, o per meglio dire, la Tefilla’, nella tradizione ebraica è più del semplice chiedere qualcosa a Dio: è piuttosto il riaffermare a noi stessi la nostra consapevolezza che tutto ci viene dalle Sue Mani. Questo non esclude la richiesta, ma la legittima in quanto abbiamo la certezza – e la affermiamo – che Lui ci dà ciò di cui abbiamo bisogno. Nel momento in cui sua sorella Miriam fu colpita da un morbo, Mosè si rivolse a Dio con cinque brevi monosillabi: “EL NA REFÀ NA LAH”, “Dio, per favore, guariscila ora”, e fu esaudito.
Chiediamo quindi con sicurezza la guarigione per tutti noi, secondo la formula usuale: “Refaenu venerafè, ki E-l rofè rachman attà”, “guariscili e saremo sani, perché Tu sei Dio guaritore misericordioso”.

Rav Elia Enrico Richetti

(17 maggio 2020)