Voci dal silenzio

“Ho visto Sergio varcare la porta di casa con le sue gambe ed entrare in ascensore, con il medico del 118. Una voce anonima il giorno dopo mi ha avvisato che mio marito non ce l’ha fatta”. La professoressa Carmela Grasso è da poco uscita dall’isolamento. Nella sua lunga e dolorosa quarantena mi inviava regolarmente i suoi pensieri sullo spaventoso stravolgimento cui è andata incontro la sua esistenza. La professoressa Grasso è stata tra le prime iscritte al Master internazionale di II livello in didattica della Shoah a Roma Tre. Nel lontano anno accademico 2005/2006 veniva a Roma ogni due settimane per formarsi e specializzarsi in un’esperienza che, per chi l’ha vissuta, ha avuto un che di unico. Le lezioni universitarie continuavano la sera in un bar e si tenevano anche di domenica. Poiché le sedi dell’Università non erano accessibili di domenica, utilizzavamo la sede del Centro bibliografico, gentilmente messo a disposizione dall’Unione delle Comunità ebraiche italiane, e la sede di Europa Ricerca, una associazione che avevo promosso per sostenere le attività del Master. A Roma veniva sempre col marito, un uomo mite che spesso si appartava silenzioso in fondo alla sala, seguendo con discrezione le lezioni. Altri tempi e altri ricordi. La professoressa Grasso non ha potuto stringere la mano al marito “nel suo ultimo istante” e avrebbe desiderato potere almeno stringere fra le mani “quanto è stato suo” nei suoi ultimi istanti. Uscendo di casa per l’ultima volta, Sergio aveva portato con sé il cellulare, che insieme ad altri oggetti, orologio, portafoglio ed occhiali, non è stato più “ritrovato”. Accanto a tanti fulgidi esempi, di medici e infermieri che hanno dato la vita per salvare altre persone, in diverse situazioni si sono verificati episodi che gettano delle ombre: oggetti spariti e non restituiti, che avrebbero potuto fornire un appiglio con un intero mondo di ricordi. Un dolore nel dolore, che rende la solitudine interiore più acuta. “Un giovane padre”, scrive la professoressa Grasso, ricoverato due giorni prima del marito, e che ce l’ha fatta dopo quasi due mesi, “nemmeno lui ha trovato il cellulare, gli occhiali e un borsone di biancheria intima che la moglie gli aveva mandato per cambiarsi”. Almeno lui per fortuna ce l’ha fatta. “Il genere umano”, aggiunge Grasso, “non si è emendato delle tragedie del passato, che passato non sono”. Le analisi ematiche hanno confermato che anche lei ha avuto il virus e sta sviluppando gli anticorpi. “Mi sono proposta”, mi ha comunicato qualche giorno fa, “per donare un po’ del mio sangue per aiutare altri che lottano per la vita”.

David Meghnagi, psicoanalista

(17 maggio 2020)