“Haredim: oltre i pregiudizi, una realtà piena di fascino”
Oggi giornalista e commentatore politico noto al grande pubblico, autore di un’affilata biografia del Primo ministro Benjamin Netanyahu, Anshel Pfeffer ha un passato da cronista con l’incarico di coprire il mondo haredi.
La sua carriera è proprio iniziata ventitré anni fa in questo modo: lavorando per un giornale locale di Gerusalemme. “Le mie prime coperture erano su Mea Shearim e gli altri quartieri religiosi della capitale. E per molti aspetti è rimasto il mio primo amore dal punto di vista professionale. Ho trovato quella realtà molto affascinante e nel corso degli anni mi sono trovato più volte a scrivere di diverse correnti dell’ebraismo, nei suoi diversi punti di vista e colori. Inclusi i più neri tra i neri, che spesso sono i più affascinanti”.
Così racconta Pfeffer, firma di Haaretz, dell’Economist e di diversa altre testate, riferendosi al mondo haredi e al fatto che spesso chi ne fa parte veste con i classici abiti neri. Spesso il termine usato per descriverli, anche in Italia, è ultraortodossi. Ma Pfeffer sottolinea di preferire la parola ebraica, haredi.
“Loro si autodefiniscono così e significa persone timorate di Dio, che sentono la sua presenza sempre e si comportano di conseguenza, che devono seguire tutti i comandamenti della Torah, interpretate secondo codici specifici. I movimenti haredi sono un fenomeno relativamente moderno – aggiunge Pfeffer – sono nati come reazione a ideologie del XIX e XX secolo, dal comunismo al sionismo. Spesso dico loro, anche se non apprezzano, ‘voi vi definite gli ebrei autentici ma il vostro movimento è nato più o meno nello stesso periodo di quello reform’. L’elemento innovativo dei haredi fu quello di considerare ogni innovazione come proibita. Una reazione al timore, e avevano ragione, che l’emancipazione dell’Ottocento avrebbe portato molti ebrei ad allontanarsi dalla religione”.
Pfeffer racconta di aver avuto gradi diversi di religiosità nel corso del tempo e di trovare particolarmente affascinante nel mondo haredi – ma non solo – la tensione che si crea tra il vivere una vita in cui ogni tuo comportamento è diretto a un’ideale più alto, in cui sei responsabile per ogni tua parola, pensiero, azione, e l’identità del singolo.
“Questa tensione tra personalità e vivere in un sistema iper-regolamentato è molto interessante da raccontare”. Alla domanda se vede un cambiamento da quando ha iniziato a coprire il mondo haredi ad oggi, Pfeffer risponde: “Oggi la comunità ovviamente è molto più grande. Allora le informazioni si recuperavano soprattutto per strada, parlando con le persone, leggendo i vari manifesti appesi per le strade delle diverse correnti, dei diversi rabbini. Oggi le informazioni circolano di più sui diversi media, su whatsapp (anche se i rabbini proibiscono di avere smartphone) e online ma alla fine non è cambiato molto. E se devo essere sincero, il modo di coprire questo settore non è diverso dagli altri. Bisogna parlare con la gente, superare i pregiudizi”.
La realtà haredi, con tutte le sue sfumature, continua però ad essere percepita come un mondo a se stante, diviso dal resto della società, che possiamo non conoscere. “Durante la pandemia ci siamo accorti di quanto sia infondata l’idea che esistano mondi realmente impermeabili. Se la mia comunità si comporta diversamente questo ha effetti su tutti: il sistema sanitario è lo stesso per tutti, i letti, i ventilatori sono condivisi. Se nella mia realtà si sparge il virus, influisce sulla vita delle altre”. In particolare il giornalista israeliano ricorda come la percentuale di contagi di Covid-19 sia stata molto più alta proprio tra i haredim. “Inizialmente i rabbini non hanno fatto passare il messaggio di non aggregarsi, anzi, si replicava alle indicazioni mediche dicendo che tutto è nella Torah. C’è stata una falla nella comunicazione, di cui sono responsabili anche le istituzioni. Si sono perse due-tre settimane e questo ha lasciato il segno.
Si sarebbe potuto evitare che molte persone si ammalassero. Poi, arrivato l’ordine dall’altro, il mondo haredi nel suo insieme si è comportato in modo molto disciplinato”. Può questa gestione non esemplare creare delle spaccature interne? “Ci sono dei cambiamenti, non spaccature – spiega a Pagine Ebraiche Pfeffer – ma erano iniziati già in precedenza. L’uso dei telefonini non casher (smartphone), l’uso di internet, l’ingresso in alcuni settori del lavoro, il fatto di andare a studiare in università. I cambiamenti tra i haredim ci sono già e forse questa pandemia potrebbe accelerare alcune modifiche. Non credo in rivoluzioni ma ogni previsione è futile”.
Daniel Reichel, Dossier Informazione, Pagine Ebraiche Maggio 2020
(Foto da Sydney Writers’ Festival)