I significati dell’apertura
In tempi di riapertura, nei quali percepiamo questo termine tutto quanto concentrato nel suo significato più semplice, immediatamente connesso alla nostra realtà attuale – uscire di casa e tornare alla normalità della nostra vita quotidiana – vorrei richiamare l’attenzione su altri significati di questo termine verso i quali alcuni testi del Tanach e insegnamenti dei Maestri ci indirizzano. Conosciamo in questi giorni l’emozione del riaprirsi delle porte delle Sinagoghe per la preghiera pubblica, a questa suggestione possiamo ricollegare il passo dei Salmi (118,19) che suona: “Apritemi le porte della giustizia, voglio entrarvi per ringraziare il Signore”; l’espressione “Porte della giustizia”, probabilmente riferita in origine al Santuario, può certamente alludere per noi anche al Bet Hakeneset, alla Sinagoga, dove si loda e si manifesta la giustizia del Signore. Notiamo tuttavia che per accedere si chiede “Apritemi le porte”, Radak, il grande commentatore medievale R. David Kimchì, spiega che questa espressione è come una richiesta rivolta ai saggi, affinché ci aiutino ad esprimere la lode e il ringraziamento a D.O; forse possiamo intendere che per penetrare veramente nella profondità della preghiera abbiamo bisogno di aiuto, di qualcuno che sia con noi, vicino a noi per “schiudere l’uscio”, per darci la forza di riportare le nostre emozioni all’Eterno, dobbiamo sentire che la preghiera di comunità non è data solo dal ritrovarsi insieme di un gruppo di persone ma dalla condivisione di sentimenti, dal desiderio di aiutarsi l’un l’altro, dentro e fuori la Sinagoga, affinché la tefillà, le parole che noi rivolgiamo al Signore, siano veramente espressione del cuore dell’individuo e della collettività ad un tempo. La preghiera, tuttavia, è solo una parte di un legame con D.O che si deve sviluppare e per il quale nuovamente troviamo l’immagine di un’apertura; il midrash riprende il passo del Shir Ha-Shirim, il Cantico dei Cantici, (Cantico 5,2) nel quale il Dod si rivolge all’amata chiedendole di aprirgli l’uscio, immagine che nell’interpretazione simbolica rappresenta il richiamo di amore che il Signore rivolge ad Israele; l’insegnamento del midrash si richiama a questa immagine del Cantico per esprimere l’accorato appello che D.O ci indirizza: “Aprite per Me uno spiraglio, sia pure piccolo come la cruna di un ago, ed Io aprirò per voi delle porte grandi come saloni”. Queste immagini ci riportano il senso dell’apertura come l’attivazione di sentimenti ci volgono verso qualcosa di nuovo, di più intenso, ci sollecitano a rivolgerci con più attenzione gli uni verso gli altri e in senso metaforico ad aprire il nostro cuore, a rimuovere durezze, indifferenza, superficialità per lasciare entrare il richiamo di D.O. Le aperture a cui ci richiamano le parole della Torah e del Tanach non sono però solo allusioni a elementi dello spirito ma anche richiami a cose molto concrete; ancora con le parole del Salmo (145,16) ci rivolgiamo al Signore invocando: “Apri la Tua mano e sazi con gradimento ogni vivente”, chiediamo a Lui alimenti e sostentamento e accompagniamo le parole con il gesto delle mani schiuse in segno di attesa del Suo dono generoso; il gesto delle mani aperte indica non solo l’attesa trepidante ma la consapevolezza che tutti i beni di cui disponiamo e che raccogliamo nel corso della vita non sono mai soltanto il frutto del nostro lavoro e delle nostre capacità, ma sempre un dono che sentiamo di ricevere da D.O. Le nostre mani devono però essere aperte – così ci insegna la Torah – non solo per ricevere ma per dare a chi ne ha bisogno “Quando in mezzo a te si trovi un povero uno dei tuoi fratelli in una delle città del tuo paese che il Signore ti concede, non dovrai indurire il tuo cuore né chiudere la tua mano al tuo fratello povero. Dovrai invece aprire a lui la tua a mano e prestargli quanto ha bisogno, ciò che gli mancherà” ( Deut. 15, 7-8).
Penso che queste diverse suggestioni sul tema “apertura” possano aiutarci a vivere questo momento non solo come un ritorno a comportamenti e consuetudini del passato ma a ricercare nuovi gesti, nuovi sguardi, sentimenti, parole ed azioni non consuete che aprano a qualcosa di diverso dentro di noi, verso il prossimo e verso l’Alto.
Giuseppe Momigliano