Jewish Chronicle, salvezza in extremis
e un futuro ricco di aspettative
Per diverse settimane, in alcune chat di giornalisti, si parlava con una certa preoccupazione del futuro del Jewish Chronicle, uno dei più antichi giornali ebraici. Alcuni dei suoi collaboratori parlavano apertamente di una possibile chiusura. Poi, a pochi giorni da Pesach, la notizia diffusa dal consiglio di amministrazione del giornale che in 184 anni di storia non aveva mai interrotto la sua pubblicazione. “Con grande tristezza, il cda del Jewish Chronicle ha preso la decisione di chiedere la messa in liquidazione volontaria su delibera dei creditori. Nonostante gli sforzi eroici dello staff editoriale e della proprietà del giornale, è diventato chiaro che il Jewish Chronicle non potrà sopravvivere all’impatto dell’attuale epidemia di coronavirus nella sua forma attuale”. Nelle stesse ore anche il Jewish News, mentre si parlava di una fusione con il Chronicle, annunciava la propria chiusura, poi sospesa.
In questa situazione, complicata ulteriormente dall’emergenza sociosanitaria, la Fondazione Kessler, proprietaria del giornale, aveva garantito di stare lavorando “attivamente per assicurare un futuro al (giornale) dopo la liquidazione”. Nessun dettaglio ulteriore, salvo l’annuncio a tutto il personale del piano di liquidazione di entrambe le società (Chronicle e Jewish News) nelle successive due o tre settimane, con tutti i 54 dipendenti, compresi i giornalisti e il personale di supporto, licenziati. Un dipendente, al Financial Times, aveva detto di essere “completamente devastato”, raccontando il proprio sconforto personale e dei colleghi. “Sono un editorialista del JC dal 1998. Mio padre ha scritto per il giornale per 67 anni, a partire dal 1951. Non è esagerato dire che è il cuore pulsante della comunità ebraica britannica – ha scritto su Twitter l’editorialista dei Guardian Jonathan Freedland – Non si deve permettere che muoia”.
Un appello ascoltato da un consorzio di personalità dell’informazione che verso fine aprile hanno annunciato la propria discesa in campo per salvare il quotidiano. L’offerta decisiva è arrivata da un gruppo guidato da Sir Robbie Gibb, già dirigente della BBC e direttore delle comunicazioni di Theresa May durante il suo mandato alla guida della Gran Bretagna. A sostenere Gibb, l’ex presidente della commissione di beneficenza William Shawcross, l’ex deputato del partito laburista John Woodcock e il giornalista John Ware, che – a proposito di mondo ebraico – aveva condotto un’ampia indagine per il programma Panorama delle Bbc sulle accuse di antisemitismo nel partito laburista.
Tra gli altri, i nomi del consorzio includono, racconta il Guardian, il rabbino Jonathan Hughes della Radlett United Synagogue e il presentatore televisivo Jonathan Sacerdoti. “Siamo tutte persone determinate a portare nuova energia e dinamismo a questo giornale storico e vitale per la nostra comunità”, ha dichiarato Sacerdoti al Times of Israel. L’intenzione è quella di trasferire la proprietà del Jewish Chronicle – spiega ancora il Guardian – in un fondo fiduciario per proteggerne il futuro e tutelare la linea editoriale, affidata al direttore Stephan Pollard (che ha mantenuto la sua posizione). Quest’ultimo ha spiegato di aver sostenuto l’offerta del consorzio – fatto da molti benefattori – “perché ha promesso di mantenere l’indipendenza del giornale, di fornire stabilità finanziaria, di mantenere molti dei nostri attuali dipendenti, di pagare un equo e completo esubero a coloro che non poteva permettersi di mantenere e – cosa fondamentale – di onorare i debiti che il giornale ha accumulato”.
Dalla nuova proprietà è arrivata poi la promessa di non voler gestire il “Jewish Chronicle come un’impresa commerciale, ma come un bene della comunità”.
Daniel Reichel – Dossier Informazione, Pagine Ebraiche maggio 2020
(21 maggio 2020)