“Le vicende degli ebrei etiopiparte della nostra storia”
“Possa la memoria degli ebrei etiopi, nostri fratelli e sorelle, che hanno perso la vita in viaggio verso Gerusalemme e la Terra di Israele, essere impressa per sempre nei nostri cuori”.
Così il Presidente israeliano Reuven Rivlin, che ha oggi partecipato a una cerimonia tenutasi in memoria dei circa 4mila ebrei etiopi che oltre trent’anni fa persero la vita nel tentativo di raggiungere lo Stato ebraico. “Gerusalemme porta nel suo cuore la memoria di coloro che sono morti. Il loro amore per la città brucia come una fiamma eterna” le considerazioni espresse da Rivlin, per la prima volta affiancato da una ministra, Pnina Tamano-Shati, che appartiene proprio alla comunità ebraica etiope. “È un enorme privilegio per me, in qualità di ministro dell’Immigrazione e dell’Assorbimento, guidare questa cerimonia commemorativa di Stato – ha sottolineato Tamano-Shati – Oggi è il giorno di Gerusalemme, in cui si celebra la liberazione della nostra capitale eterna. Ma oggi è anche un momento per ricordare i nostri cari che sono morti per questa città, gli eroi e le eroine, circa 4mila, che hanno perso la vita a causa dell’amore infinito per la Terra di Israele”.
Ta gli anni 1980 e 1984, i Beta Israel – il nome della Comunità ebraica etiope – iniziarono a fuggire dai propri villaggi nella zona di Gundar. Molti di loro, che da tempo sognavano di fare aliyah in Israele, riuscirono a lasciare l’Etiopia e ad arrivare al confine con il Sudan, sistemandosi in campi profughi.
Il passaggio attraverso il Sudan fu reso possibile da un accordo tacito, noto solo a pochi alti funzionari del paese africano. Il Mossad si occupò, nella famosa operazione Moses, di portarli in salvo in Israele.
Nella loro fuga e nei campi profughi, i Beta Israel furono messi tragicamente alla prova: soffrirono di malattie, fame e violenze da parte delle guardie sudanesi, dopo aver camminato nel deserto per mesi. Circa 4mila membri della comunità, come ricordato da Rivlin e da Tamano Shanti, morirono in quel periodo.
“A volte mi chiedo se la comunità non si rendesse conto della natura di un deserto così crudele, se non conoscesse i pericoli di vivere in una terra straniera come il Sudan. Non con innocenza ma con consapevolezza, quasi come la storia di Isacco, è stata la determinazione dei figli e delle figlie di Beta Israel a raccogliere gli ultimi e a seguire la fede e le proprie guide spirituali verso Gerusalemme. E se ci si chiede quale volto abbia l’amore della terra d’Israele, l’Operazione Moses è l’incarnazione di questo amore”.