La paura della paura

“Come farò”, mi diceva una signora qualche giorno fa al telefono. “Ho raggiunto l’età pensionabile”, ma non ho raggiunto i versamenti necessari”. “Per fortuna, aggiunge col pensiero rivolto a chi non ha nemmeno questo, “mio marito ha una pensione”. “Ma i miei figli come faranno?”. Paura e angosce che circolavano sotto traccia e riemergono con forza di fronte a una pandemia che ha sconvolto la vita di milioni di persone. È bastato un virus per mostrare quanto fragili siano le sicurezze che accompagnano la nostra esistenza quotidiana, con le sue illusorie certezze. Al punto che anche il ritorno alla normalità possa suscitare paura.
La paura della paura può essere peggiore della paura stessa. Può portare alla paralisi e alla perdita stessa del piacere di vivere. “Ora che posso tornare a uscire”, mi dice un’altra persona, quasi vergognandosi perché sa di poterselo permettere (mentre altri vivono nella disperazione più vera, “ho più paura di prima”. Quasi che le immagini cimiteriali delle piazze vuote con la loro rappresentazione di vuoto e di solitudine, potessero per alcuni risultare più rassicuranti delle incertezze e delle inquietudini che suscita un ritorno a una normalità sovraccarica di angosce (e che che tale non è), in cui si deve apprendere quanto prima come convivere quotidianamente con il pericolo. Sono pensieri carichi di angoscia di chi comunque ha il privilegio di potersi permettere i suoi spostamenti quotidiani all’essenziale. Ma chi è del tutto solo e abbandonato, senza una rete di protezioni famigliari che lo sostenga? E chi è senza lavoro e ha dei figli da mantenere e non sa come fare? E chi viveva di lavori saltuari e non sa come immaginare il suo prossimo futuro? Come vive questa area società sommersa le sue paure? Come dare ascolto e risposta alle sue paure e al suo dolore? “Solo il vaccino, che arriverà sicuramente”, mi dice un altro, “potrà riportarci alla situazione di un tempo”. Il solo fatto che lo si possa attendere con certezza, rende tutto più sopportabile. Il fatto che in molti laboratori in molte parti del mondo, si corra contro il tempo per arrivarci è un elemento di rassicurazione. Ma le ombre non mancano. L’epoca di un Sabin, un profugo ebreo nato in Polonia e cresciuto n America, che non brevettava le sue scoperte, per restituire gioia a tuti i bambini di ogni parte del mondo, appartiene a un altro mondo di valori. Non sarà che nel cuore di una crisi da tempo annunciata e che ha invaso le esistenze, bisogna immaginare da ora soluzioni per un dopo, che è già ora, e che rendano meno insicure le esistenze di ognuno?

David Meghnagi, psicoanalista