Una dieta contro l’aggressività
La personalità aggressiva e violenta è determinata da fattori caratteriali, ambientali, socioeconomici, psichici. Ma ci sono anche componenti genetiche e biologiche che incidono sulla struttura del cervello e sulle capacità cognitive. “Un deficit funzionale a livello del lobo frontale è un fattore che predispone ad avere atteggiamenti violenti” spiega Adrian Raine, professore di criminologia e psichiatria alla University of Pennsylvania, uno dei massimi esperti in materia -ha pubblicato 450 saggi sulle più prestigiose riviste internazionali e sette libri (il suo Anatomia della violenza è uscito in Italia per i tipi di Mondadori Education). “Non si tratta di tornare al determinismo lombrosiano. La biologia non è un destino, nessuno nasce criminale. Ma esistono dei fattori che aumentano le probabilità un individuo possa diventare un delinquente. Tra questi la dieta gioca un ruolo non secondario”.
Il prof. Raine parlerà delle sue ricerche lunedì 25 maggio alle 18.30 nell’ambito delle conferenze online “Pillole per la mente” organizzate da Braincircle (in live streaming sulla pagina Brainforum su Facebook e Youtube, e anche in differita sul sito brainforum.it, dove è possibile consultare anche le puntate precedenti), ponendo l’accento sul ruolo dell’alimentazione per prevenire e curare le manifestazioni di violenza. È noto che la malnutrizione durante la gravidanza ha un influsso determinante sullo sviluppo del cervello nel feto. Esemplare è uno studio olandese condotto nel primo dopoguerra su 150.000 donne incinta che durante la ritirata dell’esercito tedesco avevano subito gravi carenze alimentari, rispetto a un gruppo di controllo con alimentazione adeguata. Tra i figli delle madri che avevano sofferto la fame, seguiti per 18 anni, il rischio di comportamenti antisociali e criminali era due volte e mezzo superiore rispetto ai figli di quelle che avevano potuto alimentarsi adeguatamente. Un dato che non può essere preso come parametro assoluto, perché bisogna tener conto che altri fattori successivi potrebbero aver influito, ma che è comunque indicativo.
Se si dà per acquisito che la dieta influenzi il comportamento, tanto più quanto incide sulle fasi di sviluppo del feto e dei primi anni, oggi si cerca di evidenziare le singole componenti nocive e quelle che viceversa potrebbero avere un influsso benefico.
E’ provato che alcol e fumo in gravidanza sono due nemici insidiosi, che hanno impatto negativo sullo sviluppo del cervello nel feto, non solo sul comportamento, ma anche sul quoziente intellettivo. “Purtroppo non esiste un livello di sicurezza per il fumo o il livello di alcol in gravidanza: anche un consumo moderato può essere pericoloso” ammonisce Raine.
Le carenze nutritive nei primi mesi e anni di vita sono un altro fattore di rischio nello sviluppo del cervello e possono portare a comportamenti aggressivi durante tutto l’arco della vita. Raine ha condotto uno studio alle isole Mauritius su 1300 bambini di tre anni, seguiti poi per vent’anni. I soggetti che attraverso esami oggettivi mostravano segni di malnutrizione, manifestarono percentuali molto superiori di aggressività e di iperattività rispetto al gruppo di controllo, percentuali che negli anni continuarono a crescere.
Ma anche il livello di zucchero nel sangue può giocare un ruolo importante nell’aggressività. Uno studio condotto su una popolazione di indiani Quol in Perù ha dimostrato come i soggetti con una glicemia più bassa erano più aggressivi. E questo è stato confermato anche in molti altri Paesi. Una ricerca in Finlandia su soggetti violenti ha evidenziato un aumento della secrezione dell’insulina e un livello di glicemia più basso. Non solo: ampliando la ricerca alle carceri, si riscontrò che coloro che avevano subìto una seconda condanna entro un periodo di otto anni, avevano livelli di glicemia più bassi rispetto a quelli che non avevano più commesso reati. E questo vale anche per i bambini. Uno studio su 170.000 bambini seguiti per vent’anni ha dimostrato che quelli che mangiavano dolciumi tutti i giorni nella prima infanzia, presentavano a 34 anni livelli di violenza tre volte più alti. Questo perché i carboidrati raffinati vengono rapidamente assorbiti dall’intestino e scatenano un rilascio massiccio di insulina che va rapidamente a consumare lo zucchero nel sangue facendo scendere il livello della glicemia molto al di sotto di quello fisiologico. Uno dei primi sintomi dell’ipoglicemia reattiva è l’irritabilità, e l’irritabilità è il primo passo verso un comportamento sociale aggressivo.
Per fortuna, se la cattiva dieta crea problemi, quella buona può aiutare a risolverli. Raine e i suoi collaboratori lanciarono qualche anno fa nelle isole Mauritius un progetto di miglioramento ambientale per i bambini che a tre anni manifestavano tendenze violente, attraverso programmi di stimolazione cognitiva, esercizio fisico e un migliore apporto dietetico. Rispetto al gruppo di controllo, quelli che avevano seguito il programma avevano a 17 anni una ridotta incidenza dei disturbi del comportamento e anche di episodi aggressivi. “In questi bambini – sostiene il professore – abbiamo misurato il funzionamento cerebrale all’età di 11 anni. Quelli “trattati” con una buona dieta mostravano una migliore funzione cerebrale, e questo spiega la diminuzione dei comportamenti violenti.”
Una dieta sana e bilanciata, (e non c’è bisogno di cibi costosi, spiega Raine, già un bicchiere di latte al giorno fa la differenza) potrebbe essere un importante strumento di prevenzione del crimine -pensiamo alle periferie degradate del mondo dove la violenza è endemica.
Un altro alimento positivo per tranquillizzare il cervello è il pesce. Uno studio ha messo a confronto il tasso di omicidi in 26 Paesi del mondo rispetto al consumo di pesce. Giappone dove si mangia più pesce rispetto al peso corporeo, il tasso di omicidi è molto più basso che nei Paesi dell’Europa dell’Est, dove il pesce non fa parte della dieta quotidiana. “Questa è solo una correlazione, una ipotesi di partenza – spiega il docente americano – che deve essere dimostrata attraverso uno studio randomizzato e controllato manipolando il consumo di pesce e controllando i comportamenti”. Lui lo ha fatto alle Mauritius, seguendo un gruppo di bambini dai due ai 16 anni, ai quali per 6 mesi è stato somministrato ogni giorno un succo di frutta arricchito con un grammo di Omega 3. Il gruppo di controllo assumeva lo stesso succo ma senza omega 3. Il calo dei comportamenti violenti è stato notevole, e si è protratto nel tempo, mentre il gruppo di controllo che grazie all’effetto placebo ha dimostrato un certo miglioramento durante il periodo di somministrazione, ha perso il beneficio non appena ha smesso di bere il succo di frutta.
Incoraggiato dai risultati, Raine ha proseguito la ricerca con gli Omega 3 a Singapore su un gruppo di giovani delinquenti con un’età media 19 anni (la ricerca è recentissima). Durante il trattamento è stata riscontrata una significativa riduzione dei comportamenti antisociali e aggressivi, che si è protratta ancora per 12 mesi dopo l’interruzione. “Gli effetti positivi degli Omega 3 sono stati confermati anche da studi sugli animali – spiega lo scienziato-. Aggiungendo l’integratore alla loro dieta si è constato un potenziamento a livello neuronale. Sappiamo che gli omega 3 hanno un effetto sui neurotrasmettittori, sulla neurogenesi e possono quindi potenziare le funzioni cognitive e migliorare il comportamento.”
Raine vorrebbe portare avanti questa sua ricerca anche in altri Paesi e gli piacerebbe instaurare una collaborazione con colleghi italiani. Se ci fosse qualcuno disponibile, può rivolgersi a info@brainforum.it.
Viviana Kasam