Controvento
Cosa fare con le scuole

“La settimana scorsa i miei figli hanno telefonato al loro cuginetto in Italia, tutti contenti per aver finalmente rivisto le maestre e i compagni, perché le scuole in Svizzera avevano riaperto. Il cuginetto si è messo a piangere disperato e non c’è stato modo di consolarlo. Lui fino a settembre a scuola non potrà tornare”.
Lo racconta Antonella Chadha Santuccione, neuroscienziata e medico, fondatrice di Women for Brain Project, una organizzazione nata in Svizzera per fare rete e dare visibilità alle donne scienziate. Ne fanno parte scienziate, dottoresse, psicologhe, psichiatre, sia ricercatrici che cliniche.
In questo periodo uno dei temi ai quali l’Organizzazione si sta dedicando, con seminari web, articoli e trasmissioni radiofoniche, è quello della riapertura delle scuole. In Svizzera l’Autorità Federale ha decretato la riapertura l’11 maggio (con una certa discrezionalità dei Cantoni, che hanno poteri molto ampi), dopo un periodo relativamente breve – solo due mesi – di chiusura. La decisione è in controtendenza con quanto è stato deciso in Italia. Secondo le Autorità sanitarie elvetiche, i bambini difficilmente si infettano, e se succede è in modo molto leggero. E non ci sarebbe prova che, quando sono asintomatici, possano infettare gli adulti. Secondo questo ragionamento, che però non è suffragato da nessuna evidenza clinica, non avrebbe senso tenere le scuole chiuse. “Come medico, neuroscienziata e madre, io sono favorevole alla riapertura delle scuole”, sostiene la dottoressa Santuccione. “In Svizzera e in Norvegia gli asili nido e gli asili per i bambini sino ai 5 anni di età sono rimasti aperti durante il lockdown, e non si è registrato nessun caso di focolaio all’interno di queste strutture.”
Concordano le psicologhe che fanno parte dell’Organizzazione WBP: prolungare la chiusura delle scuole presenterebbe molte più controindicazioni che riaprirle.
“Mentre gli adolescenti riescono a cavarsela, perché sono abituati a tenere i contatti attraverso i social, e per loro l’insegnamento a distanza può non rappresentare un problema, i più piccini hanno necessità di contatto fisico” sostiene la psicoterapeuta Marta Di Meo, che lavora al Kurtz Psychology e al Child Mind Institute di New York, e ha ricevuto nel 2019 il premio “Universum Donna”, della Universum Academy della Svizzera. E sottolinea come l’insegnamento a distanza rischia di far aumentare il divario tra i ragazzi benestanti e i bravi a scuola, e quelli che invece necessitano della presenza e dell’incoraggiamento del maestro, o che non hanno a casa genitori in grado di seguirli.
“Sono segnalate in tutto il mondo, nei bambini che sono rimasti a casa durante il lockdown, preoccupanti manifestazioni dovute allo stress” aggiunge la psicologa Beatrice Nasta, che fa parte dell’executive committee del WBP. “Difficoltà nel sonno, iperattività, problemi alimentari, tic e balbuzie, regressione comportamentale, enuresi notturna, depressione, sono le più frequenti. Noi riceviamo continuamente telefonate di madri disperate.” A questi problemi se ne aggiunge uno legato al percorso che dalla scuola porta al lavoro. “Da studi internazionali si è visto che i bambini dimenticano facilmente quanto appreso, se il loro cervello non viene tenuto in esercizio” sostiene Antonella Chadha Santuccione. “Un lockdown prolungato rischia di tradursi in un percorso scolastico problematico e in una conseguente perdita di guadagno durante tutto l’arco della vita”.
La Svizzera insomma dà priorità al benessere del bambini rispetto a quello degli anziani. Forse anche perché in Svizzera le persone con più di 65 anni rappresentano il 17,8% della popolazione rispetto al 22% dell’Italia, che è uno dei Paesi al mondo con l’indice di natalità più basso. Inoltre in Italia è molto comune che i nonni accudiscano i nipoti, soprattutto nelle famiglie in cui anche le donne lavorano: in Svizzera questo avviene più di rado. I nonni italiani sono quindi più a rischio di contagio.
“Il problema non è quello di dare una priorità” ribatte la dottoressa Santuccione. Tutte noi abbiamo genitori anziani che amiamo e vogliamo tutelare. Riteniamo che questo si posa fare anche senza tenere chiuse le scuole. Attraverso strategie di precisione nel monitorare possibili infezioni in ambienti scolastici, per vedere se e come il virus si muove tra i bambini e stabilire quindi se e quali siano le misure di contenimento da adottare, e anche considerando le realtà specifiche. Non credo sia giusto tenere chiuse le scuole in una intera Nazione perché in una o due regioni ci sono focolai di infezione ancora attivi. Riaprire localmente, laddove il pericolo è limitato e, dove invece l’epidemia non è sotto controllo, investire in programmi individualizzati per i bambini, credo sarebbe una soluzione più efficace e più attenta ai bisogni e al futuro dei nostri figli”.
Facile forse in Svizzera, Paese piccolo, con un forte controllo sociale e un grande senso di responsabilità da parte dei cittadini. Una utopia in Italia, dove è già difficile far rispettare regole uguali per tutti. Ma cominciare a parlare dei problemi psicologici dei bambini tenuti per sei mesi a casa, mi sembra sia urgente e doveroso.

Viviana Kasam