Un virus che colpisce le economie
La pandemia da coronavirus sta infliggendo a molti paesi costi elevatissimi non solo in termini di vite umane ma anche di reddito e di sostentamento di una ampia fascia di popolazione. Ne è la prova il dilemma dei governanti di tanti paesi, incerti se dare la priorità a salvare vite umane oppure alla difesa dei posti di lavoro e dei redditi; è invece forte e univoca la protesta degli imprenditori e dei lavoratori autonomi, che chiedono di ritornare rapidamente alla normalità.
Ma quale sarà l’impatto economico della pandemia nei due paesi che stanno più a cuore ai lettori di Pagine Ebraiche, ossia l’Italia e Israele? All’inizio di aprile il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha reso note le sue previsioni sulla crescita del prodotto lordo (PIL) nelle economie avanzate, tenendo conto dell’impatto del Coronavirus. Ebbene, per quest’anno il FMI prevede una caduta del PIL pari al 9% circa in Italia e al 6% in Israele; si tratta di contrazioni del reddito mai registrate in tempi di pace sin da dalla crisi del 1929, che ebbe costi sociali elevatissimi. Basti ricordare che la lunga e profonda recessione che seguì nei primi anni ‘30, favorì i movimenti populisti e l’avvento di dittature in Europa. Secondo il FMI nel 2021 si assisterebbe invece a un recupero parziale del reddito perso quest’anno, con una crescita del PIL pari al 5% circa sia in Italia che in Israele.
Quali sono le analogie e le differenze tra le due economie e quali impatti economici e sociali ne conseguono? Un aspetto che accomuna (e in questo momento penalizza) queste due economie è che entrambe hanno forte vocazione all’export e un’importante fonte di reddito è rappresentata dal turismo. L’economia italiana si sta tuttavia contraendo in misura maggiore di quella israeliana, per almeno due motivi: da un lato la più lunga durata della quarantena e del blocco delle attività produttive in Italia, dall’altro la maggiore diversificazione dell’interscambio commerciale di Israele, che destina all’Asia un terzo del suo export (le economie asiatiche stanno risentendo meno di altre della pandemia) mentre l’Italia destina una quota elevata dell’export agli altri paesi UE, tutti in grave crisi. Un’altra differenza riguarda i costi sociali della crisi e della forte recessione in atto: Israele è favorita dal fatto che ha un mercato del lavoro flessibile, in cui è facile essere licenziati ma si riceve un sussidio di disoccupazione e si trova rapidamente un altro lavoro, come testimoniato dal basso tasso di disoccupazione. Ne consegue che la riduzione della disoccupazione, una volta ripartita l’economia, sarà più rapida. Al contrario, l’Italia è penalizzata da un mercato del lavoro più rigido (ci vorrà un po’ di tempo per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi) e, soprattutto, da una quota elevata di lavoro sommerso e irregolare, che è privo di tutele e in un periodo di crisi come quello attuale non percepisce nessun reddito.
Aviram Levy, economista – Pagine Ebraiche Maggio 2020