Mayer: dall’Europa a Gerusalemme
Una storia di libri, cultura, radici

Tempo fa ho chiesto a un’amica della Hebrew University, la prima università d’Israele, quale fosse una buona libreria a Gerusalemme. Girando per la città ne avevo incrociate diverse ma nessuna di queste aveva risvegliato quelle reminiscenze che ci obbligano a fermarci, a guardare libri che non credevamo avrebbero potuto interessarci, comprare i libri che non cercavamo tralasciando il percorso previsto.
Queste esperienze sono complementari alla lettura elettronica e all’acquisto online, senza pregiudizi negativi verso le modalità recenti di lettura e acquisto dei libri. L’imprinting sedimentato con la specializzazione delle abilità linguistiche e l’acquisizione delle capacità relazionali tra parole, immagini e mondo ci consentono di entrare in una biblioteca o in una libreria con una memoria retrospettiva che ci orienta tra titoli, argomenti e secoli. Trovando anche ciò che non cercavamo.
Alla mia domanda Manuela ha risposto con una sola parola – “Mayer” – aggiungendo: “Non è lontana dal tuo albergo”. Ovviamente l’indomani mattina sono andata alla ricerca della libreria gerosolimitana. Arrivata in Rehov Shlòmzion Hamalka, una traversa di Jaffa Road, non l’ho notata subito, la libreria è stretta tra il caffè Khadosh (Manuela sostiene che vi si trovino i migliori croissants di Gerusalemme) e il ristorante Agvanià – Pomodoro – la cui insegna precisa che si prepara anche ‘pizza italkit’.
La mia libreria ha due vetrine piccole, piuttosto antiquate. Sulla facciata sono rimasti, anzi sono stati preservati, i segni dei proiettili sparati nel 1947 dagli inglesi. Quei buchi li avevo già trovati citati in un articolo su Ludwig Mayer Bookstore pubblicato dal Jerusalem Post nel 2006. Sì, credo siano un valoroso blasone che viene giustamente mantenuto con orgoglio.
L’Armenian Building, era la sede del Ministero dell’Interno mandatario e fronteggiava i locali in cui i Mayer avevano trasferito la libreria nel 1935, due anni dopo il rientro dalla Germania di Ludwig, che ne era proprietario e fondatore e del figlio Hermann.
Alle 18 del primo aprile del 1933, giorno di Shabbat, cioè il mese successivo all’insediamento del Reichstag nazista, quando Ludwig ed Hermann rientrano alla sede berlinese della libreria, da cui mandavano libri di storia e lingua ebraica in tutto il mondo, trovano uno dei primi segni ufficiali del boicottaggio ai negozi gestiti da ebrei: attaccato alla loro vetrina il lugubre messaggio: “Kauf nicht bei Juden!”, non comprate dagli ebrei.
La decisione di Ludwig fu repentina e lucida, il lunedì successivo andò in banca a ritirare i tredicimila marchi, l’equivalente di mille sterline, necessari per ottenere dagli inglesi il visto d’ingresso nel Protettorato di Palestina. Fu così che nel dicembre del 1933 la Ludwig Mayer Bookstore riaprì in Coresh St. per poi trasferirsi, nel 1935, nella sede attuale in Rehov Shlòmzion Hamalka.
All’epoca la strada, coerentemente con il Mandato britannico, si chiamava Princess Mary Avenue, e nell’Armenian Building c’era il Main Post Office che in quegli anni era il quartier generale inglese. Vista la posizione topografica privilegiata i Mayer erano periodicamente sospettati di potere intercettare le comunicazioni e di passarle all’Haganah, il servizio di sicurezza ebraico. D’altronde nello scambio di cortesie con gli inglesi, dopo i tre Libri Bianchi che avevano fissato la politica mandataria in Palestina tra il 1922 e il 1939, la sede inglese era chiamata Bevingrad viste le rigide posizioni del ministro degli Esteri del governo post bellico di Clement Attlee, Ernest Bevin.
La storia della libreria e dei suoi proprietari è affascinante e per lungo tempo ha coinciso con la storia dei pionieri del sionismo. Ludwig Mayer, era nato nel 1879 a Prenzlau, una cittadina a nord di Berlino, in una famiglia di commercianti di lana ma a dispetto del presumibile percorso nell’azienda familiare aveva preferito iniziare a lavorare come libraio.
Dopo avere seguito la sua vocazione per tre anni a Berlino, Ludwig decise di continuare il suo lavoro a Gerusalemme. Qui, nonostante i consigli di Arthur Ruppin capo dell’Ufficio Palestina dell’Organizzazione Sionista, oltre che fondatore delle moderne scienze sociologiche e demografiche di Israele, che avrebbe preferito la scelta di un lavoro più immediatamente utile alla costruzione di una nazione, Ludwig nel 1908 caparbiamente apre la sua libreria la ‘Ludwig Mayer Ltd’ vicino alla Porta di Jaffa.
Nel 1910 la moglie Hedwig finalmente lo raggiunge da Amburgo e nel 1912 trasferiscono la libreria non lontano dalla Porta di Jaffa, in quella che oggi è Kikar Safra.
Ludwig è uno dei tanti che in quegli anni avevano deciso di tornare a eretz Israel incoraggiato nella sua scelta dal clima culturale in cui era cresciuto. Probabilmente i fattori che più influenzarono Mayer furono l’Haskalà, l’illuminismo ebraico, tardo rispetto a quello francese ma fecondo di sincretismi culturali e aperture religiose che aveva formato una borghesia aperta e cosmopolita e la rinascita della lingua ebraica moderna, voluta da Eliezer Perelman ‘Ben Yehudà’ che era arrivato in Israele, dopo lunghe peregrinazioni in tutta Europa, al porto di Jaffa, nel 1881, accompagnato dalla moglie Debora e dal suo mentore Chashnikov.
Alla fine dell’Ottocento l’ebraico più diffuso nella Palestina ottomana era una lingua franca – memoria delle sinagoghe – comune tra i tanti fuggiti o sopravvissuti ai pogrom zaristi e già tornati in Palestina. Un mezzo di comunicazione parziale e circoscritto agli ebrei dell’Europa orientale o il ladino tra i sefarditi. Quando erano richiesti contatti tra persone provenienti da zone diverse si usava l’ebraico antico, magari un po’ modificato. Quello che tutti ricordavano dai bar mitzvah, una lingua lontana dalle esigenze di una comunicazione moderna. Quando Mayer decide di andare a Gerusalemme per aprire una libreria e vendere libri in ebraico oltre a una buona selezione di libri inglesi, francesi, tedeschi e yiddish siamo nel cuore di questa rivoluzione culturale.
Da circa vent’anni nell’Yishuv si andava diffondendo l’uso dell’ebraico moderno, le migrazioni aumentavano velocemente e stava iniziando anche una prima letteratura ebraica. Insomma Eliezer Ben Yehudà arrivato in Israele nel 1881 riuscì a dare una lingua a un popolo nella sua terra, tanto che nel 1922 gli inglesi lo riconobbero, a malincuore, lingua ufficiale degli ebrei di Palestina. A volte enfatizzando le competenze del filologo Eliezer, Perelman per nascita a Luzkhy in Lituania, e Ben Yehuda per scelta, dimentichiamo la valenza politica che aveva la ricerca e la pratica di una lingua ebraica unitaria che coincideva con il desiderio e l’esigenza di una patria laica.
Bisognerà attendere la Dichiarazione Balfour del 1917 dove sembra sia stato Chaim Weizmann, scienziato a Manchester, a forzare il Premier inglese sul diritto degli ebrei a riavere una propria terra usando la riconoscenza che gli inglesi gli dovevano per ringraziarlo della scoperta della sintesi dell’acetone dal mais. Il lavoro di Weizmann era essenziale per la produzione della cordite indispensabile per la fabbricazione delle munizioni necessarie alla guerra in corso: la nuova produzione influenzò favorevolmente l’esito del conflitto.
Nel 1914, allo scoppio della Grande Guerra, inizia una seconda fase della libreria, Ludwig e Hedwig decidono di tornare alla Vaterland, la Germania, per combattere per il Kaiser. Lì nasce il loro unico figlio Hermann che con orgoglio nell’intervista del 2006 ricorda spiritosamente di “essere stato prodotto in Israele ed essere solo nato in Germania nell’aprile del 1915”. Nel dopoguerra gli affari della Ludwig Mayer continuarono da Berlino esportando libri in Palestina e America ma la vocazione patriottica della famiglia Mayer andava affievolendosi, nel 1922 muore Hedwig e nel 1933 con l’episodio già ricordato del boicottaggio nazista dei negozi ebraici i Mayer capiscono che la Germania non è più la Vaterland ma un luogo ostile. La decisione di tornare a Gerusalemme questa volta è definitiva e non più motivata da ragioni intellettuali ma la consapevole scelta sionista di Ludwig e di Hermann.
Questa piccola, grande, libreria oggi di proprietà di Marcel Marcus, ex rabbi di Berna, un uomo colto, gentile e sfuggente, un europeista convinto, rappresenta una perla nella storia della cultura mondiale a cavallo di due secoli. Vi è concentrata la volontà di conoscenza, tolleranza e invenzione che solo l’uomo e la parola distillata possono dare. Non è poco.

Gea Schirò

(26 maggio 2020)