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Un rapporto complicato

C’è sempre il timore di essere monotoni. Prima di scrivere queste righe sempre ripenso alla battuta di Isacco Artom. Siamo stati i primi monoteisti, sovente siamo i più monotoni. Questa settimana, finalmente, mi è capitato di leggere su una rivista italiana un saggio che non parla delle solite cose. Lo ha scritto una ricercatrice della Normale di Pisa, Stefania Ragaù (“Contemporanea”, gennaio-marzo 2020). Il titolo non inganni, Isacco Artom si tranquillizzi: “Secolarizzazione e antisemitismo nel genere utopico ebraico”. Non è la solita canzonetta. Il saggio prende in esame due romanzi scritti in tedesco da due autori poco noti, Edmund Eisler e Max Ostenberg. Che cosa hanno in comune i loro romanzi usciti fra il 1885 e il 1893? Appartengono al grande filone dei sentieri in utopia, del socialismo messianico. Due seducenti Città del Sole. Sulla scorta dei lavori di Mosse, la Ragaù spiega come prima del sionismo e a prescindere dal ritorno a Sion, alcuni autori avevano percorso quei sentieri per vedere se e come in utopia gli ebrei sarebbero capaci di amministrare uno stato ideale. Piacquero a Herzl quei romanzi, ma il sionismo non c’entra. C’entrano Platone, Tommaso Moro, Campanella, un po’ anche Vico. La simbiosi con le utopie coeve è evidente: sono gli anni della Tebaide di Anatole France, del revival dei miti cenobitici e delle regole benedettine, del ‘Quo vadis’ di Sienckiewitz. Mancava all’appello la variante ebraica. La Ragaù apre uno squarcio su questo mondo sconosciuto: questi romanzi ci aiutano a capire il complicato rapporto dell’ebraismo, non solo quello tedesco, con la politica e con il potere.

Alberto Cavaglion

(27 maggio 2020)