Maschere e mascherine

Ti riconosco, mascherina! La vicenda delle mascherine, chirurgiche e non, delle quali siamo divenuti un po’ tutti edotti in breve tempo – invece quasi non sapendo precedentemente cosa fossero – è come una cartina di tornasole della condizione organica di affaticamento, politico ma soprattutto amministrativo, nel quale stiamo vivendo. Non si trovavano fino a poco tempo fa; sono ben presto divenute l’illusorio simulacro di una protezione totale dal rischio che, al momento, nessuno in realtà può garantire; vengono evocate come opportunità ed obbligo, a seconda dei casi, senza che ci sia una reale disposizione condivisa a livello nazionale; soprattutto, sono state al medesimo tempo oggetto di un incredibile conflitto tra il commissario Domenico Arcuri – delegato all’indirizzo sugli interventi straordinari per l’emergenza Covid-19 – e l’articolato sistema della distribuzione farmaceutica in Italia. E tra quest’ultima e il circuito dei produttori. Al netto di questi passaggi, che si trascinano da oltre tre mesi, in una “emergenza mediana” (ovvero come qualcosa di non troppo ma neanche di troppo poco: una sorta di cronicizzazione della condizione di sospensione della vita abituale, e delle sue aspettative, nella quale viviamo dal febbraio di quest’anno), che si dispone a diventare potenzialmente illimitata, rimane il fatto che l’esecutivo sia riuscito ad assumere un provvedimento indice, la cancellazione dell’Iva sul bene, dall’originaria aliquota, solo nei giorni scorsi. Poi, dopo infinite mediazioni, interlocuzioni ed assestamenti, si è arrivati ad una prima distribuzione collettiva. Nel mentre, tuttavia, gli italiani avevano già provveduto da sé. In qualsiasi esercizio politico, c’è una componente funzionale ed una simbolica. L’imposizione fiscale è un indice di priorità. Nella sua complessa strutturazione, molto stratificata, non risponde solo ad esigenze di natura materiale (avere il sufficiente denaro per soddisfare i bisogni collettivi, quelli riconosciuti e tutelati attraverso la spesa pubblica) ma anche ad una funzione simbolica: indicare che cosa sia importante, per davvero, al presente. Va ripetuto: non è un problema di sola funzionalità bensì di coerenza. Ossia, di aderenza tra richieste e risorse, tra indirizzi di politica e concrete possibilità di tradurle in fatti. Risponde soprattutto al principio di protezione e tutela, due attribuiti – non esclusivi ma neanche tra i meno importanti – che sono tuttavia parte fondamentale dello Stato di diritto. Il quale non è mai un mero elenco di principi ma un insieme di atti e di fatti, di decisioni e di azioni, di mediazioni e di procedure. Una variabile strategica di ciò che stiamo vivendo è quella del tempo: nei processi decisionali come in quelli esecutivi, nell’ideazione e nell’implementazione. Il deficit registrato sulla vicenda delle mascherine è allora una sorta di cartina di tornasole dell’estrema farraginosità con la quale il nostro Paese riesce ad affrontare non solo i problemi straordinari ma anche quelli che abitualmente lo accompagnano. Da molto, se non da sempre. L’evocazione continuativa delle infinite strozzature burocratiche, peraltro, non ci restituisce il senso di qualcosa da correggere, un deficit da superare, ma la natura stessa del patto di diffidenza che spesso accompagna il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione. Una diffidenza reciproca, strutturale, che già era stata descritta da Alessandro Manzoni, recuperato a nuova gloria letteraria (e non solo) in questi mesi così difficili. Qualcosa che lega le trasformazioni in atto al senso, spesso prevaricante, di impotenza e di espropriazione. Di impotenza al presente, di espropriazione del futuro. Tutto perduto? No di certo, ma i conti si fanno alla fine e con la presenza dell’oste. Vedremo nel prossimo autunno e nell’inverno a venire, quando i giganteschi problemi economici che si accompagnano all’emergenza sanitaria si manifesteranno nella loro immediata tangibilità, quale sarà l’effettiva capacità di affrontare una configurazione, per molti aspetti inedita, di problemi che tuttavia non rimandano esclusivamente all’oggi.

Claudio Vercelli

(31 maggio 2020)