Emanuele Cohenca (1931-2020)

Cordoglio nel mondo ebraico milanese per la scomparsa di Emanuele Cohenca, per anni impegnato nelle istituzioni ebraiche della città. “Membro del Bené Berith Milano dal 1968 e Presidente della nostra Loggia dal 1974 al 1976 Emanuele Zl’ portò alla loggia l’entusiasmo nell’osservanza delle mitzvot e nell’approfondimento della cultura ebraica. – il ricordo di Joe Abeni, presidente del Bené Berith Milano – Con queste qualità lui diventò uno dei pilastri dell’assistenza ai bisognosi, dell’organizzazione del culto e dell’azione fraterna non solo nel Bené Berith, ma anche nel Consiglio della Comunità ebraica di Milano della quale fu per più anni membro eletto”. Classe 1931 Emanuele Cohenca aveva raccontato a Pagine Ebraiche uno dei momenti più importanti della sua vita e dell’Italia intera: la liberazione del paese dal nazifascismo.
“Dopo venti mesi di terrore, braccati, in fuga tra diversi nascondigli, due volte sfuggiti alla cattura, una per pochi minuti, l’altra per pochi metri. E soprattutto per una serie di incredibili coincidenze”, il racconto di Cohenca del suo 25 aprile 1945, passato a Milano con la famiglia, tutti nascosti in attesa della Liberazione che suonò alle 5 del mattino. “Il 29 aprile – uno dei ricordi di Cohenca – mentre eravamo per strada, improvvisamente la folla si mise a correre in direzione di Piazza Cinque Giornate. Si vociferava che gli Alleati stessero entrando in città. Li seguimmo. E ci ritrovammo davanti a carri armati con la Stella di Davide. Dalla svastica alla Stella di Davide. Gridavamo ‘shalom, shalom’. La gioia, l’emozione che provammo in quel momento, furono tali da compensare tutta la paura e le sofferenze”.
Sia il suo ricordo di benedizione.

Di seguito la testimonianza di Emanuele Cohenca, raccolta da Rossella Tercatin, sul suo 25 aprile 1945.

“La sirena all’alba e il mio Shabbat dei miracoli”

La libertà suonò all’alba: una sirena prolungata alle 5 del mattino. Sono passati 69 anni da quei momenti, ma l’emozione rimane. A descriverla è Emanuele Cohenca, classe 1931, leader storico della Comunità ebraica di Milano, per tanti anni membro del Consiglio e attivo nel Tempio di via Guastalla. Nel rievocare quelle giornate il signor Cohenca ricorda alcuni momenti chiave, a partire dal quel segnale che li svegliò il 25 aprile, diverso da quelli che preannunciavano i bombardamenti. Poi l’incontro con il nonno, la preghiera sulle rovine della sinagoga distrutta e infine la vista dei carri armati con la Stella di Davide. A simboleggiare che l’incubo era davvero finito. “I nostri Maestri dicono che le cose non succedono per caso” sottolinea sorridendo Cohenca, mentre racconta cosa significò riacquistare la libertà “dopo venti mesi di terrore, braccati, in fuga tra diversi nascondigli, due volte sfuggiti alla cattura, una per pochi minuti, l’altra per pochi metri. E soprattutto per una serie di incredibili coincidenze”. Con i genitori e la sorella Lina, Emanuele era nascosto a Milano e dunque ricorda ora per ora cosa accadde nel capoluogo lombardo. “Abitavamo in via Mercadante, zona Corso Buenos Aires. Il 24 aprile avevano saputo dalla radio che gli alleati avevano sfondato le linee tedesche. Milano era in sciopero e il clima surreale, i mezzi pubblici erano fermi, le fabbriche, i negozi chiusi, tutti sbarrati in casa. Così eravamo andati a letto. Alle 5, la sirena”. Qualche ora più tardi, in quella che è oggi una delle vie dello shopping, i Cohenca vedono passare le prime camionette partigiane con le bandiere. “Ma facevano segno a tutti di stare a casa con le finestre chiuse, c’era paura dei cecchini. Poi arrivarono i ragazzi che distribuivano i giornali ex clandestini. E tuttavia rimaneva il timore che i tedeschi potessero infliggere un ultimo colpo di coda”. Piccoli dettagli di ore ancora convulse “Tenevamo la vasca da bagno piena d’acqua e con i miei risparmi avevo comprato candele e fiammiferi. Ricordo anche la sensazione che provai passando davanti a una caserma della Wehrmacht, vedendo la sentinella di guardia che se ne stava lì disarmata. Nonostante tutto non la odiai”. Poi ci fu la grande gioia di riabbracciare il nonno, nascosto a Varese, e un giro speciale per la città in carrozza, con l’anziano Aristide in piedi a cassetta, che annunciava con orgoglio “Fate largo che passa Mordekhay” (nome del padre di Emanuele), il titolo che il signor Cohenca ha scelto per il libro in cui condivide la sua testimonianza sugli anni della guerra. La famiglia sapeva che la sinagoga di via Guastalla era stata distrutta da una bomba. Eppure, sabato 28 aprile, il cuore li chiama laggiù sulle macerie. Non sono i soli: nella devastazione, altri ebrei si ritrovano, e in numero sufficiente per recitare la preghiera completa dello Shabbat. Un ultimo episodio non può essere omesso nel racconto di Emanuele sulla primavera‐estate più bella, fatta del tornare a riappropriarsi della casa che era stata occupata da altri, del riprendere gli studi a ritmo record, per dare gli esami di terza media e poi quelli di ammissione alla seconda superiore (“E passai con la media dell’8,8!”), della possibilità di celebrare, finalmente il Bar‐mitzvah. “Il 29 aprile mentre eravamo per strada, improvvisamente la folla si mise a correre in direzione di Piazza Cinque Giornate. Si vociferava che gli Alleati stessero entrando in città. Li seguimmo. E ci ritrovammo davanti a carri armati con la Stella di Davide. Dalla svastica alla Stella di Davide” racconta con un nodo in gola. “Gridavamo ‘shalom, shalom’. La gioia, l’emozione che provammo in quel momento, furono tali da compensare tutta la paura e le sofferenze”.