Un Bar Mitzvah al tempo del Covid
“Soluzioni nuove e creative
per un giorno speciale”

Diventare Bar Mitzvah al tempo del virus: mascherine, distanziamento sociale, soluzioni creative per tener vivo lo spirito della giornata nel rispetto del regole. L’obiettivo è stato raggiunto. Non sono infatti mancati calore e gioia per il 13enne Elia Yaakov Catalucci, che ha tagliato il traguardo della maggiorità religiosa ebraica nella sinagoga di Firenze. Una delle belle storie che arrivano dall’Italia ebraica in questi giorni di ripartenza e riapertura.
“I miei figli – racconta la madre di Elia, Sara Valentina Di Palma – sono nati e cresciuti in seno alla sezione di Siena e siamo tuttora molto legati ai correligionari senesi. È stato rav Amedeo Spagnoletto, nel momento in cui lui era rabbino capo di Firenze, a spingerci verso questa scelta. Per consolidare la partecipazione nella nuova città e perché Elia imparasse a cantare Arvit secondo il rito fiorentino. Abbiamo comunque voluto che rav Crescenzo Piattelli, rabbino di riferimento di Siena, continuasse ad essere coinvolto nella sua educazione ebraica. Dopo Eli Rabani, che è stato il suo primo maestro ed è sempre nel suo cuore”.
Fino a marzo scorso Elia studiava regolarmente al Talmud Torà comunitario. “Con l’emergenza sanitaria – prosegue la madre – tutto si è rarefatto: i contatti sociali annullati, le lezioni solo online e spesso compatibilmente con le possibilità organizzative. Elia ha comunque continuato a studiare privatamente via chat con rav Piattelli, il cantore Alberto Servi e il nuovo rabbino capo di Firenze, rav Gadi Piperno. E lo stesso ha fatto suo fratello Leone, di due anni più piccolo, che ha preparato l’Haftarà”.
Un amico di Elia è diventato Bar Mitzvà subito dopo Pesach: “Abbiamo seguito canti e cerimonia dei tefillin online, lui in Francia, noi a casa nostra a Pistoia. Così pensavamo sarebbe stato anche per Elia, ormai. Invece alcune settimane fa rav Piperno ci ha comunicato che probabilmente sarebbe stato riaperto il Tempio poco prima di Shavuot e che quindi in qualche modo il Bar Mitzvà di sarebbe tenuto fisicamente in sinagoga”.
Come, è diventata la domanda. “Tante dolorose consapevolezze, riprendendo la lista di parenti ed amici lasciata mesi fa: assenti i nonni chiusi in casa in Lombardia e che hanno vanamente tentato la strada di un permesso speciale dalla prefettura, lontani amici della Comunità ebraica romana e di altre zone nel nord Italia, lontano l’amico che abita in Francia. Altri hanno paura del virus e continuano a restare a casa. Come pure loro malgrado lontani gli anziani o le persone dalla salute cagionevole che non possono correre rischi e i bambini piccoli che per ragioni di gestione non possono stare al Tempio: dovrebbero essere sempre seduti e lontani dagli altri, ma quando mai si è vista una tefillà senza bambini in giro a capannelli?”.
E poi, prosegue Sara Valentina Di Palma, diverse questioni complesse anche dal punto di vista pratico. “Vietati kiddushim e banchetti per ragioni igienico sanitarie. Ma come ovviare alla mitzvà della seudà festiva e permettere a Elia di fare il kiddush? Con una sorta di mishloach manot. Per ognuno un sacchetto personale confezionato con un dolce e un succo di frutta. Non è stato come dovrebbe essere o pensavamo che sarebbe stato, ma questa sfida ci ha imposto di trovare soluzioni creative e, ancor più del passato, accettare con gioia quello che abbiamo invece di lamentarci per quello che manca. Non speravamo più di poter essere al Tempio e questo è già un grande dono”.

(2 giugno 2020)