Ticketless – La voce di Chaplin
Usciamo da settimane di ipnosi, di questo fenomeno regressivo ho già parlato. La pubblicità televisiva, poi, un vero bombardamento. Una sera però, come d’incanto, a reclamizzare non ricordo cosa, uno spezzone del discorso di Chaplin dal Grande dittatore. Originale inglese, un invito alla tolleranza, musica per le nostre orecchie: tutti abbiamo amato quella scena, un toccasana per chi in questi giorni tendeva a spaventarsi. Il genio dei pubblicitari sorprende sempre. Non è importante il contenuto, quanto la voce, il timbro. Il film è del 1940, di solito non si ricorda che quel film appartiene più alla storia della rabdomanzia che della cultura. Kafka, Dostoevskij, Charlot seppero predire la catastrofe europea prima che si realizzasse. Negli anni Trenta una singolare discussione sorse intorno a Chaplin e al comico ebraico, sviluppatosi a partire da alcuni intellettuali che intervennero sulla Febbre dell’oro. Ne scrisse Saba, lo ripeté Montale, Solmi citò Chaplin per definire l’umorismo di Svevo: Zeno, scriveva, come Charlot, era l’ultimo sognatore del ghetto. C’era molta superficialità in quelle combinazioni, ma il dibattito fu contiguo a quello sulle origini della psicoanalisi ed è un aspetto che andrebbe rimeditato. Tutte queste riflessioni si ritrovano adesso bene narrate, insieme a moltissimi altri aspetti dei primordi della cinematografia moderna in un densissimo volume di 400 pagine dedicato al tormentato rapporto fra Gadda e l’esperienza cinematografica. Lo ha appena pubblicato Flavio Tuliozi (“Tutto sto cinema. Carlo Emilio Gadda e l’esperienza cinematografica”, Edizioni dell’Orso, a pp. 185-191 le note su Debenedetti e la fortuna italiana di Chaplin). Un libro densissimo, in cui Gadda è solo un pretesto per sguardi attenti e molto documentati su non pochi risvolti nascosti della cultura novecentesca.
Alberto Cavaglion
(3 giugno 2020)