La Shoah e il ruolo della didattica
La didattica intorno alla storia e alla memoria della Shoah è tra le sfide più complesse con cui confrontarsi, perché mette in gioco competenze e specializzazioni fra loro molto diverse: storia politica, economica e sociale, storia delle ideologie, pedagogia, filosofia, arte e letteratura, psicologia e scienze sociali e religiose, teologia, geopolitica e diritto. Per non parlare di altre discipline che attengono ad altre sfere del sapere. La tragedia della Shoah ha coinvolto l’intera civiltà umana. Non solo i territori in cui si è consumato lo sterminio, ma anche in forme diverse i luoghi verso cui le persone in fuga cercavano scampo. La guerra coinvolse anche le colonie. Nel caso specifico dell’Africa settentrionale e del Vicino Oriente, se le forze dell’Asse non fossero state sconfitte a El Alamein, le comunità ebraiche del mondo arabo e lo stesso Yishuv (l’insediamento ebraico nato con il movimento di rinascita nazionale ebraica) avrebbe subito un destino analogo a quello riservato agli ebrei europei. Le camere a gas mobili, utilizzate dalle Einsatzgruppen nel corso dell’avanzata dell’esercito tedesco sul fronte orientale, erano pronte per essere usate con l’appoggio e il sostegno dei seguaci del Muftì di Gerusalemme al Cairo e ad Alessandria; a Tel Aviv e a Gerusalemme, come a Damasco e Bagdad.
L’ampliamento degli orizzonti della ricerca in un primo tempo limitati al periodo bellico, si sono progressivamente ampliati ed estesi con conseguenze sulla didattica al periodo di incubazione che l’ha preceduto: la prima guerra mondiale con le sue devastanti conseguenze in ogni sfera della vita pubblica e privata e di lì a cascata sui processi di incubazione che hanno fatto da sfondo all’ascesa del nazismo.
Senza togliere nulla alla specificità di ogni singola fase che anzi deve essere assolutamente tenuta presente (pochi mesi possono fare la differenza per il corretto inquadramento di un singolo fatto), gli studiosi hanno progressivamente esteso la loro ricerca a temi della storia culturale di breve e lungo periodo: il darwinismo sociale e l’eugenetica, le ideologie coloniali e la cultura medica con i suoi pregiudizi, l’antisemitismo di matrice religiosa cristiana e quello “razziale”.
Non per caso il fascismo italiano ha teorizzato la legislazione antisemita come un’estensione metropolitana a quanto già attuato nei possedimenti coloniali. Per non parlare della tragedia armena in cui il Comando militare tedesco, che tra il 1904 e il 1907 aveva accumulato una vasta “esperienza” in Africa con gli Herrero, fatti morire di fame e di sete, avvelenando i pozzi, ha fornito un supporto al suo alleato nel processo di distruzione realizzato dalla Turchia contro la minoranza armena.
Siamo al punto che si può correttamente parlare di una storia della storiografia, il che per molti aspetti vale anche per le altre discipline.
Per essere all’altezza della sfida, la didattica deve sapere tenere conto delle successive rappresentazioni collettive, come parte di uno scontro fra sistemi e visioni diverse della politica, della cultura e della società, con le conseguenze che ne sono derivate. Per essere all’altezza della sfida, un percorso di formazione specialistico deve sapersi confrontare con gli usi ideologici che di quella pagina tragica del Novecento sono stati fatti, con il racconto e la rappresentazione della storia e con le modalità di trasmissione della memoria collettiva. Per citare un esempio, gli sviluppi attuali dell’odio antiebraico nel mondo arabo islamico non sono da considerarsi solo ed esclusivamente come un il mero prodotto del conflitto che ha tragicamente opposto per decenni le aspirazioni del movimento sionista a quelle del nazionalismo arabo per cui occorre trovare una composizione politica e pacifica, fondata sul rispetto e sul riconoscimento reciproco. Sono purtroppo anche e soprattutto il risultato di un processo storico più ampio e complesso, che ha radici nella cultura religiosa islamica e che investe dall’interno le narrazioni religiose e nazionaliste che hanno fatto da sfondo al crollo dell’Impero ottomano e alla fine del Califfato e che negli anni trenta ha visto una alleanza organica politica e ideologica tra importanti settori del nazionalismo arabo e islamico e le Potenze dell’Asse.
La didattica sulla Shoah, ha stentato a trovare in ambito accademico una sua definizione disciplinare e solo dagli anni ‘60, con la discussione pubblica innestata dal Processo Eichmann, ha progressivamente conquistato ambiti che dapprima erano rimasti ai margini, o che erano limitati a contributi di eccezione, in particolare fra gli intellettuali esuli o reduci dai campi che in contrasto con i luoghi comuni dei primi decenni seguiti alla guerra furono in grado di confrontarsi con la frattura epocale che si era determinata con la tragedia dello sterminio. Nonostante la quantità e la qualità scientifica dei lavori specialistici sull’argomento, la ricaduta che se ne ha nelle opere di più larga diffusione non è spesso all’altezza del compito. Le cerimonie commemorative e le dichiarazioni solenni, importanti e necessarie per tenere viva l’attenzione e la consapevolezza sulle tragedie del passato e sui pericoli attuali, se non sono accompagnati nelle sedi deputate (le scuole, le università e i media) da un approfondimento critico, oltre che da una divulgazione che sia all’altezza della sfida, rischiano di diventare col tempo dei contenitori vuoti.
David Meghnagi