Controvento Archiviare al tempo del virus
Una degli archivi più ricchi dedicati alle vittime del nazismo è quello di Arolsen, a Bad Arolsen in Germania, vicino a Francoforte. Fu istituito dagli Alleati dopo la guerra con tutto il materiale reperito nei campi.
Su una superficie di scaffali che srotolata coprirebbe circa 25 chilometri, sono raccolti più di 30 milioni di documenti originali che riguardano circa 40 milioni di persone: prigionieri, lavoratori forzati reclutati nell’Europa occupata dai nazisti, oppositori politici, ebrei bruciati ai forni crematori. Ci sono liste di nomi e di materiali, schede di viaggi e trasporti, elenchi burocratico-amministrativi. Una collezione enorme ma difficilissima da catalogare, perché i documenti sono spesso in pessime condizioni, vergati a mano in grafie disordinate, su carta rovinata dal tempo e dalle cattive condizioni di conservazione, timbri scoloriti, imbrattature… Ma una fonte unica di informazioni, che sono state utilizzate anche dalla Croce Rossa Internazionale dopo la Guerra per riunire migliaia di famiglie e risalire al destino di moltissime persone di cui si era persa ogni traccia.
Alla fine degli anni ’80 i curatori avviarono il lavoro di digitalizzazione della collezione, e 26 milioni circa di documenti sono ora online, a disposizione di ricercatori, istituzioni, privati. Ma è un lavoro lunghissimo e certosino, che richiede il costante intervento umano proprio per la disomogeneità dei materiali, e al quale negli anni hanno collaborato specialisti pubblici e privati. L’epidemia di Covid ha ispirato alla direttrice dell’archivio, Floriane Azoulay, l’idea geniale di ricorrere al volontariato per imprimere una accelerazione al lavoro. Ricorrendo allo smart working. Come ha raccontato al giornalista Andrew Curry del New York Times, ha pensato che tra le persone chiuse in casa dal lockdown ci potessero essere studiosi, studenti, archivisti, storici, interessati a dare il loro contributo. Si è quindi rivolta a una piattaforma di crowdsourcing, Zooniverse, per invitare chi fosse interessato a “interpretare”, trascrivere e indicizzare le schede. Gli Archivi hanno scannerizzato e reso disponibili on line su Zooniverse decine di migliaia di documenti provenienti da Buchenwald, Dachau, Sachsenhausen. Ai volontari veniva chiesto di scegliere liberamente le schede, e di inserire poi i nomi e le informazioni sul database dell’Archivio. La Azoulay non si sarebbe mai aspettata una risposta così ampia ed entusiasta. Migliaia di persone in tutto il mondo hanno offerto la loro collaborazione e trascorso giorni e notti ad analizzare i materiali, la maggior parte dei quali non richiedono la conoscenza del tedesco, perché si tratta prevalentemente di liste di nomi, date, luoghi, numeri. Ma come assicurarsi della correttezza delle elaborazioni provenienti da volontari quasi sempre non specializzati? Con quello che si chiama triple check: una informazione viene accettata solo è convalidata da tre persone che indipendentemente l’hanno elaborata. In caso invece di discordanza, le schede vengono esaminate dallo staff di Arolsen, composto di storici e archivisti professionali. In pochi mesi, 120.000 nomi con le relative informazioni indicizzate, sono stati aggiunti all’archivio. Provenienti da tutti i Paesi europei, da giovani e da pensionati, da studiosi e da dilettanti (il maschile include le donne…)
Un lavoro importantissimo non solo per conservare la memoria di quanto è successo, ma anche per comprendere meglio la tentacolare organizzazione nazista, che faceva della schedatura, del controllo, della conservazione dei dati (salvo quelli che furono poi volontariamente distrutti) uno dei punti di forza del sistema criminale.
Viviana Kasam