Neri d’America, il volto dell’altro

Molte cose sensate sono già state scritte, su questa testata e altrove, a proposito dell’orribile uccisione di George Floyd. Eppure credo che ci sia ancora molto da scavare e qualche aspetto da chiarire sul significato dell’ennesimo atto di razzismo radicale e radicato emergente dalla società americana.
In una prospettiva ebraica, innanzitutto. L’agghiacciante omicidio commesso a freddo dal poliziotto americano tramite soffocamento prolungato nei confronti di un individuo pacifico e disarmato squassa con una lacerazione violenta l’immagine del divino presente nell’uomo, quale ci è consegnata dalla tradizione ebraica; fa a pezzi il comandamento ebraico di amare per il tuo prossimo come per te stesso; anzi, è come un calcio brutale tirato sul volto dell’altro con cui la filosofia di Lévinas ci esorta a comunicare e a interagire; rivendica con la brutalità fisica della violenza imposta all’uomo di colore una presunta supremazia razziale che è l’esatto contrario dei principi e dei valori dell’ebraismo, basati sul reciproco rapporto Dio-uomo e Dio-popolo in una visione di unità ed uguaglianza della collettività. È per questo che, nell’orrore comune per quel gesto, l’indignazione ebraica può a mio parere essere ancora più profonda.
In una prospettiva storica, riaffiora un problema vecchio quanto la vicenda della società americana, coloniale prima e indipendente poi. Perché la prima democrazia della storia, il paese che ha fondato la sua nascita e le sue istituzioni sulla libertà individuale e collettiva, il paese dei diritti e della dignità della persona non è mai riuscito a sciogliere il nodo del razzismo e le incontrovertibili contraddizioni che in esso sono racchiuse rispetto al suo stesso sistema istituzionale-giuridico-sociale? È proprio l’immagine del poliziotto che, invece di far rispettare la legge, usa il potere concessogli dalla legge per violarla apertamente opprimendo e sopprimendo un concittadino solo perché appartenente ad altra etnia a rappresentare alla perfezione – con la tragica plasticità dei fatti – l’assurdità contraddittoria in cui il razzismo rischia di far precipitare la società statunitense. Pare che le radici del pregiudizio razzista contro i neri (ataviche, istintuali; oppure figlie di una malintesa e perversa formazione tradizionalista/conservatrice) siano insopprimibili, più forti della ragione e della costruzione politica. Emerge, in questo, una palese analogia con l’antisemitismo, forma archetipica di pregiudizio mai sconfitta e perennemente riaffiorante, al di là di ogni progresso della razionalità, in epoche differenti e in diversi contesti sociali. Proprio di lucidità e di capacità di persuasione politica ci sarebbe invece bisogno, come acutamente notava pochi giorni fa Bill Schneider rimpiangendo la figura di Bob Kennedy, la sua battaglia per i diritti civili e il suo ruolo pacificatore nei mesi caldissimi successivi all’assassinio di Martin Luther King.
In una prospettiva sociale, torna in primo piano – scenario di sottofondo costante, che periodicamente si riaffaccia nei notiziari e sulle prime pagine dei giornali – la profonda spaccatura della collettività americana. Spaccatura fra neri e bianchi, certo; ma forse, più trasversalmente, spaccatura fra America liberal e America conservatrice/segregazionista (una realtà che tuttora sopravvive, purtroppo, in varie zone della grande nazione statunitense). Una spaccatura che dovrebbe essere ricucita da una guida sapiente, e che l’incompetente/autoritaria leadership di Trump (una non-leadership, in realtà) può invece solo accentuare. E così la deriva di una sacrosanta protesta collettiva per un atroce gesto di inumanità e inciviltà scivola nella rivolta e nel caos incontrollato, che a sua volta genera crimini in tante città americane e speculazione sul crimine urbano, ad opera di afroamericani violenti e non solo (pare ci sia anche lo zampino di gruppi suprematisti). Illogica, ingiusta ma prevedibile appendice di tutta questa esplosione di violenza, l’affacciarsi di episodi di antisemitismo, con danneggiamenti a sinagoghe e a beni di cittadini ebrei: ennesima dimostrazione del carattere camaleontico del pregiudizio antiebraico, che come l’araba fenice risorge dalle sue ceneri in contesti difformi. Quanto sta avvenendo negli Usa in questi giorni ci turba, ci spaventa. Anche questa situazione sarà certo superata. Ma di certo non sarà archiviato il radicato razzismo di fondo che l’ha generata. Esso tornerà di sicuro a colpire, generando il male e provocando gravi danni sociali. Con quali conseguenze di lungo termine per la società americana?
In una prospettiva culturale, infine, non possiamo non riflettere sul fatto che l’America e il mito americano fanno parte di noi stessi; sono e restano un modello, un punto di riferimento, uno schema orientativo per noi uomini della vecchia Europa. Come può dunque non inquietarci il grosso punto interrogativo che si profila sul suo presente e sul suo futuro?
David Sorani

(9 giugno 2020)