Owens e la cultura del razzismo
Il grande Jesse Owens, l’uomo che vinse quattro medaglie d’oro nell’olimpiade berlinese del ’36 davanti ad Adolf Hitler, quando tornò in patria non trovò una nazione ad accoglierlo. Sbarcato a New York fece fatica a trovare un albergo che lo ospitasse. Quando lo trovò, gli fu imposto di entrare dalla porta di servizio per non mischiarsi con la clientela bianca. Isolato da tutti i circuiti professionisti degli Stati Uniti, finirà la sua avventura sportiva guadagnandosi da vivere come fenomeno da baraccone, facendo gare di corsa con i cavalli. Basterebbe questa piccola storia per far capire quanto sia radicato il razzismo verso la gente di colore nel Nord America. Si dice che sia alimentato dalla crisi causata dal coronavirus, ma ci sono degli elementi culturali assai profondi, mai metabolizzati. Cosa lega una grande democrazia alle pulsioni razziste più retrive?
Davide Assael