Periscopio – L’epoca dei capi

Questa è, senza dubbio, l’epoca dei capi. Tutti i Paesi del mondo, democratici o meno, si vedono guidati da capi sicuri di sé, che mostrano di avere le idee molto chiare su quale debba essere il futuro migliore dei popoli su cui sono chiamati a comandare. Non tutti i loro governati li amano, ovviamente, ma ciò non sembra importare loro granché. Anzi, il fatto di avere degli oppositori – laddove, ovviamente, il sistema permetta a questi di manifestare il loro dissenso – non fa che accrescere, nei capi, la convinzione che sono loro, e solo loro, ad avere ragione. La palese pochezza e miseria degli avversari ne è una prova lampante: non è forse evidente che sono mossi unicamente da invidia e livore? Vorrebbero essere loro a prendere il posto dei capi, è chiaro. Ma tranquilli, non c’è pericolo. Non ci riusciranno mai.
I capi amano moltissimo la televisione. Com’è bello esibire, davanti a milioni di persone, quel loro sguardo fiero da condottieri, dosare sapientemente espressioni sorridenti e corrucciate, alternare in modo oculato promesse per gli amici e minacce per i nemici, mostrarsi in così profonda sintonia col sentire profondo del popolo, di quello vero, che nessuno conosce bene come loro. Tutti i capi sono dei grandi attori, pur non avendo studiato recitazione: si tratta di una dote innata. E poi, i capi non recitano, sono davvero così.
Ma, potrebbe chiedere qualcuno, i capi non sono forse sempre esistiti? La storia ci ha tramandato memoria di una lunga sfilza di loro. È vero, ci sono sempre stati, e anche nel passato curavano l’immagine, la comunicazione. Quintiliano, per esempio, descrive minuziosamente i movimenti della mano, e delle singole dita, che un buon oratore deve sapere usare, per catturare l’attenzione. I capi del passato, però, sono stati più sfortunati di quelli di oggi, dal momento che non disponevano di quel formidabile strumento che è la televisione. Quanta fatica per allenare la voce, per farsi ascoltare magari da cento persone, mentre oggi se ne possono raggiungere anche cento milioni, senza nessuno sforzo.
C’erano, indubbiamente, altri mezzi atti a raggiungere risultati simili a quelli della televisione, per esempio le statue. Tutti i musei del mondo sono pieni di statue di marmo raffiguranti principi, imperatori, condottieri, che guardano il popolo con fierezza, dall’alto dei loro piedistalli. Le statue non parlavano, ma assolvevano lo stesso scopo della televisione: fare capire chi sta sul piedistallo e chi sotto, chi è un capo e chi no. E il fatto che non parlassero non rappresenta poi una grande differenza: forse che oggi, quando si sentono i capi parlare, si ascolta veramente quello che dicono? A nessuno importa, e a loro meno di tutti.
È stato recentemente pubblicato, per i tipi dell’Erma di Bretschneider, un libro collettaneo molto interessante (a cura di G. Zecchini), intitolato L’ ‘Augusteum’ di Narona, nel quale diversi studiosi si impegnano a ricostruire la storia di un singolare monumento, il cd. Augusteo di Narona, in Dalmazia: una specie di tempio, risalente al periodo augusteo, in cui erano assemblate molte pregevoli statue (ce ne sono arrivate 25) di imperatori e di loro familiari e amici. Le sculture sono perfettamente conservate, ma hanno tutte una strana caratteristica, ossia quella di essere senza testa. Come mai? Forse sono state decapitate da vandali o ladri, desiderosi di trafugare almeno le teste (in quanto portare via l’intera statua sarebbe stato troppo difficile e faticoso)? Un’idea non convincente, giacché le statue non sembrano essere state rotte, il collo mostra di essere ben tornito, con, al posto della testa, uno spazio concavo ben levigato. La spiegazione più probabile, pertanto, è che le sculture fossero state appositamente realizzate in modo da permettere la sostituzione periodica delle teste. Inutile e dispendioso, infatti, dovere sempre costruire una statua nuova, ogni volta che veniva eletto un nuovo principe, o quando un protetto dell’imperatore saliva di rango, così come sarebbe stato un evidente spreco buttare tutto ogni volta che qualcuno moriva o cadeva in disgrazia. Buttiamo la testa, ma conserviamo il corpo.
La lettura del libro mi ha suggerito l’idea di inviare un rispettoso messaggio ai capi di oggi, tutti. Questo: “Capi, vi ammiro molto, e, ai piedi delle vostre statue, riconosco il vostro potere e la vostra superiorità. Ricordate solo che, prima o poi, la vostra testa sarà levata, per far posto a quella di qualcun altro”.

Francesco Lucrezi