Il caso Montanelli
fra equivoci e omissioni

Un’associazione ha chiesto la rimozione della statua dedicata a Milano al giornalista Indro Montanelli, il quale aveva avuto nel 1935 una relazione, diciamo, para- matrimoniale, con una ragazzina eritrea dodicenne (anche se Montanelli poi scrisse sul Corriere che era quattordicenne).
In tutta questa discussione si è troppo disquisito dell’arretratezza degli africani e poco di quella domestica. Discorriamo, allora di quella nostra: il codice civile italiano allora vigente disponeva, all’art. 68, che il Re “Può anche dispensare dall’impedimento di età, ed ammettere al matrimonio l’uomo che ha compiuto gli anni quattordici e la donna che ha compiuto gli anni dodici”. È stato ameno leggere che Montanelli anziché portare la nostra civiltà si fosse adeguato al malcostume locale, senza essere sfiorati dal dubbio che noi non fossimo migliori, e con noi centinaia di codici civili che ancora nel Duemila fissavano ai dodici anni l’età del matrimonio per le donne. Come dire che il malcostume di cui si accusa Montanelli, era assai diffuso e che se costui era colpevole (e lo era) ciò non assolve il resto del mondo, reo dello stesso peccato originale.
Piuttosto, avendo il nostro provveduto ad un pagamento ai genitori, la fattispecie oggi giorno sarebbe ricaduta sotto la scure della Convenzione supplementare Onu sull’abolizione della schiavitù, del commercio di schiavi, e sulle istituzioni e pratiche assimilabili alla schiavitù (1956), la quale prevede il caso della donna, cui non spetti il diritto di sottrarsene, la quale sia promessa o data in matrimonio mediante compenso in denaro o in natura, fornito ai suoi genitori, al suo tutore, alla sua famiglia o a qualsiasi altra persona o altro gruppo di persone (art. 1, lettera i).
Voler espungere Montanelli dalla storia d’Italia, per il tramite di una corriva damnatio memoriae, costituisce un’operazione inaccettabile, perché danneggia il nostro diritto alla conoscenza. Qualcosa di simile è stato tentato con Pablo Neruda, stupratore dichiarato in “Confieso que he vivido” (“El encuentro fue el de un hombre con una estatua. Permaneció todo el tiempo con sus ojos abiertos, impasible. Hacía bien en despreciarme. No se repitió la experiencia”) ma in altre latitudini, non in Italia, dove ogni città ha (giustamente) strade ed istituti di ogni tipo dedicati al grandissimo poeta cileno.
Ciò posto, questa sorta di processo postumo a Montanelli, rientra nella tendenza sorta negli ultimi decenni di individuare in alcuni giornalisti le stimmate del santo laico per via di circostanze contingenti. Questa assurdità ha fatto passare in secondo piano il fatto che i grandi giornalisti fossero tali per le loro capacità professionali e non per la loro consuetudine coi miracoli e le vite esemplari.
Peraltro, è più comodo fare il processo al passato che al presente; se non altro perché si corrono meno rischi. Peccato che ne parli l’Unicef, in “Mapping of child marriage initiatives in South Asia”. Occuparsi del 1935, dopotutto, è molto più sicuro che occuparsi del 2020.

Emanuele Calò, giurista

(16 giugno 2020)