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Zunz e l’ebraismo come scienza
Della possibilità di ebraicizzare Kant abbiamo detto. Ma che dire di Hegel? Lo spirito hegeliano (nel duplice senso della sua influenza e del Geist che Hegel ipostatizzò come motore del mondo) non solo sembra poco conciliabile con l’approccio ebraico – lontano da ogni dialettica dicotomica e da ogni superamento-assorbimento del particolare nell’universale – ma potrebbe addirittura costituire una minaccia. È noto che l’ebraismo serve a Hegel solo come fase negativa per contrastare e superare il paganesimo, ma che viene a sua volta superato – fagocitato – nel cristianesimo (tedesco), zenit dello Spirito nella storia. Ovviamente non la pensavano così eminenti pensatori ebrei del XIX secolo, quali Nachman Krochmal, Salomon Formstecher e Samuel Hirsch, che cercarono di applicare sì all’ebraismo alcune categorie del sistema di Hegel (in primis il concetto di storicità) ma in chiave apologetica. Influenze hegeliane sono ben rintracciabili anche in Leopold Zunz (1794-1886), il fondatore della Wissenschaft des Judentums, la ‘scienza del giudaismo’ fondata a Berlino nel 1819, “quella disciplina che ha trasformato per la prima volta l’ebraismo in un oggetto scientifico, degno di essere esaminato da un punto di vista filologico, storico e politico; non più concepito come un insieme statico e definito di dogmi, ma come un campo dinamico ed eterogeneo di produzioni e idee in contesti differenti”.
Così si esprime lo storico del pensiero ebraico moderno Giuseppe Veltri, che preferisce tradurre quei termini tedeschi con l’epressione ‘ebraismo come scienza’, dove scienza è intesa in senso lato quale forma olistica di conoscenza, educazione (Bildung) e civiltà. Che all’epoca fosse un modo per imitare l’approccio cristiano-protestante ai testi biblici o uno sdoganamento della letteratura ebraica nelle università e nei salotti intellettuali di Berlino o un sincero riflesso auto-coscienziale dell’incipiente modernizzazione dell’ebraismo europeo (o solo tedesco?), non fa grande differenza: fu una svolta a molti livelli, che legittimò gli studi ebraici – ad eccezione di Talmud e qabbalà, considerati retaggi di superstizione – nei curricula degli eruditi non-ebrei e che ridiede self-esteem agli ebrei irrisi dal pregiudizio, non raramente con accuse irrazionali. Nel 1848 Zunz fece anche una battaglia per istituire una cattedra di storia e letteratura ebraica all’università di Berlino, ma la maggior parte dei rinomati e illuminati professori respinsero con forza la richiesta percepita come “violazione dei valori etici dell’università” (alla lettera!).
L’importanza di Zunz nell’accreditare gli studi ebraici nella cultura europea si evince dall’antologia dei suoi scritti messi insieme da Veltri con Libera Pisano, L’ebraismo come scienza. Cultura e politica in Leopold Zunz (Paideia 2019), secondo volume della collana, fondata dallo stesso Veltri, nominata “Biblioteca di cultura ebraica italiana” (e pazienza se Zunz in Italia fosse allora e ancor oggi è del tutto sconosciuto). Il titolo del volume non vuol certo ridurre l’ebraismo a scienza, ché, si sa, non è soltanto una scienza o una filosofia o una religione o un ethos politico… Rispecchia nondimeno il senso dell’operazione culturale zunziana e forse ha il merito di riaprire il capitolo un po’ rimosso dei rapporti tra Hegel e il mondo ebraico. “La Wissenschaft des Judentums – scrivono Veltri e Pisano nell’introduzione – può essere considerata un tentativo, a volte controverso, di rileggere attraverso un filtro hegeliano l’ebraismo: nell’approccio di Zunz la storia degli ebrei è la manifestazione di una determinata idea che si articola e si sviluppa attraverso i secoli; il processo dialettico secondo cui, nella Wissenschaft des Judentums, l’ebraismo stesso si scopre – hegelianamente – oggetto e soggetto del sapere, giungendo alla consapevolezza del suo valore scientifico; la specificità della cultura ebraica come contributo decisivo nella storia universale è d’impronta chiaramente hegeliana; la famosa metafora secondo cui la filosofia giunge come la nottola di Minerva, solo dopo che il processo spirituale si è compiuto nella realtà, è molto simile al progetto di Zunz di trattazione scientifica dell’ebraismo come una necessità impellente della sua epoca; hegeliana, infine, è l’idea di un sapere che unisce una prospettiva etica e teoretica”.
Testimone di un’età di trapasso (dal XVIII al XIX secolo ma anche da una visione ebraica medievale a una moderna), Leopold Zunz raccolse l’eredità di Moses Mendelsohn e la sviluppò pubblicando studi storico-filologici sulla letteratura rabbinica, sui sermoni sinagogali e, in tre tomi, sulla poesia religiosa in epoca medievale. Isaak Markus Jost, suo rivale che però gli era anche compagno di studi, lo etichettò come un ‘antiquario’ più che uno ‘storico’. L’epiteto, non proprio elogiativo, venne ripetuto da Hermann Cohen e Franz Rosenzweig. Non sarebbe però dispiaciuto a Gershom Scholem se solo non si fosse trattato di un antiquario dai gusti così hegeliani.
Massimo Giuliani, Università di Trento
(18 giugno 2020)