Libertà di espressione
Si è già discusso su queste pagine della notevole libertà di parola che la democrazia israeliana assicura sui suoi mezzi di comunicazione. Una situazione che potrebbe essere migliore, ma che è decisamente fuori dall’ordinario in un’area geografica come il Medio Oriente, dove nella stragrande maggioranza dei casi i media sono sotto il controllo censorio di regimi illiberali. Fuori dall’ordinario anche se si considera che Israele è un paese ancora formalmente in guerra con molti dei paesi che gli sono vicini, e in genere un paese in guerra controlla rigidamente il mondo dell’informazione. Sta di fatto che nel rapporto annuale redatto da Reporters Without Borders Israele sta al posto 88°. Una posizione non molto onorevole se viene rapportata al 41° posto italiano e al 45° degli Usa, ma decisamente rassicurante se si raffronta al 166° dell’Egitto, al 173° dell’Iran, al 128° della Giordania o al 137 dell’Autorità Palestinese. Sono numerose le testate giornalistiche sulle quali si possono leggere impietose inchieste che affondano il coltello nelle piaghe e nelle pieghe di una società complessa, caratterizzata da conflitti trasversali e irrisolti. Spesso vengono criticate le decisioni governative – come in ogni paese democratico – e neppure l’esercito è esente da un severo e continuo esame. Anzi, la stessa radio dell’esercito ospita spesso inchieste e interviste in cui le critiche sono più che esplicite sui più diversi aspetti della vita politica e sociale del paese. Non è peraltro raro che l’informazione israeliana discuta liberamente del rapporto con la diaspora. Giovedì mi è capitato di sentire sulla radio dell’esercito la giornalista Ilana Dayan (molto nota e spesso tacciata da sinistra di scarsa equidistanza, una critica dalla quale mi permetto di dissentire) intervistare un esponente in vista dell’ebraismo statunitense che parlava con toni molto critici del progetto di annessione di alcune aree della Cisgiordania. L’espressione usata – che si associava a dure frecciate all’amministrazione Trump – è stata inequivocabile: quelle annessioni sarebbero dei veri e propri missili a orologeria puntati sulle comunità ebraiche e sulle sinagoghe della diaspora. Non entro nel merito del commento. Non è questo il luogo. Voglio però sottolineare che esistono luoghi sull’orbe terracqueo nei quali lo spettro di opinioni di esponenti delle comunità ebraiche su quel che accade in Medio Oriente è ampio e variegato, e non dà l’impressione di essere sottoposto a restrizioni. Una dinamica che nella nostra modernità si chiama libertà di espressione ed è attentamente monitorata da organismi internazionali. In tempi più antichi, in ambito ebraico questa libertà era assunta a metodo di studio. Oggi si ha spesso l’impressione che – al contrario – quella stessa libertà sia sottoposta a freni e restrizioni in una diaspora che soffre di afasia.
Gadi Luzzatto Voghera, storico
(19 giugno 2020)