L’Ungheria di Orban

“In effetti le chiacchiere dell’Occidente cristiano sono una farsa, fino a poco tempo fa il governo non aveva nulla a che spartire con il cristianesimo, faceva capo a tradizioni pagane di una Grande Ungheria e propagandava l’apertura verso Est, alle popolazioni turche apparentemente imparentate, per allentare il rapporto con l’Ue. La destra ancora più estremista ha sempre appoggiato i palestinesi in Medio Oriente, mantenendo buoni rapporti con Hamas. Ora per Viktor Orbán tutt’a un tratto sono diventati importanti i diritti delle donne, per lui che non ha una singola ministra nel suo governo. Ha sfruttato la crisi dei migranti per alimentare la paura nei confronti degli stranieri in tutta Europa e per imporre in questo modo la sua visione di nazione omogenea. Si tratta in fondo di rispondere a una domanda: vogliamo l’Europa o non la vogliamo? In Ungheria tutto gira intorno ai musulmani, ma in realtà a qualsiasi forma di differenza, di estraneità: omosessuali, ebrei, rom, mezzi di comunicazione critici, opposizione”.
Con queste parole lo scrittore ungherese György Dragomán interviene nel libro “L’impeto della realtà” (Keller Editore, 2018), scritto dal giornalista tedesco di famiglia iraniana, Navid Kermani. Reportage del 2015 che segue la rotta dei rifugiati attraverso l’Europa balcanica, e la crisi che ne è scaturita. Un copione, quello descritto da Dragomán, certamente già visto in tutto il continente ed anche oltre.

Francesco Moises Bassano

(19 giugno 2020)