Essere comunità
L’emergenza pandemia è stata un vero dono per le persone sole e per chi vive lontano da una comunità. Mai come in questo periodo si sono succedute, ogni giorno e a tutte le ore, lezioni e conferenze online che hanno accompagnato il nostro isolamento. Ci siamo accorti che si possono condividere curiosità e cultura a cui non sempre abbiamo pensato di poter accedere con tanta facilità. Ci siamo avvicinati moralmente a tanta gente, ci siamo sentiti certamente meno soli, abbiamo partecipato e condiviso. Abbiamo preso coscienza di fare parte di un tutto, e questo è un bene. Ci ha aiutato a superare il momento forse peggiore della crisi. Non siamo soli nella sventura, abbiamo pensato, e quando ne usciremo ne usciremo tutti insieme, attraverso la stessa esperienza e con le stesse ansie e le stesse preoccupazioni.
E, tuttavia, c’è stato uno scotto pesante da pagare, perché è venuto meno il contatto diretto, è stato compromesso il valore del minian, si sono sfaldati i legami sociali, lo spirito di comunità si è drammaticamente allentato. Riprendere le fila, riproporre il senso dello stare insieme, ricostituire lo spirito di comunità dovranno essere, per le dirigenze comunitarie, la priorità e l’impegno per l’immediato futuro. Il rischio, altrimenti, è quello di lasciar credere che per essere comunità sia sufficiente un collegamento online alle sei di sera.
La via verso la ripresa non potrà che essere la condivisione totale dei problemi comunitari, l’apertura di un ampio dibattito che ci coinvolge tutti, nello spirito dell’interesse comune più basilare. Un ulteriore passo verso l’indifferibile ‘democratizzazione’ dei processi progettuali – e magari decisionali – che faccia sentire a tutti di essere parte davvero integrante ed essenziale della comunità cui appartengono. Ora, registrare l’allarme non basta, è necessaria la progettualità. Ne va del nostro futuro.
Dario Calimani, Università di Venezia