Lo speciale Unorthodox
Esty e la scelta della fuga

Il numero di Pagine Ebraiche di giugno in distribuzione ospita un ampio speciale dedicato a Unorthodox, la serie televisiva che ampio successo ha ottenuto in tutto il mondo. Quale è stato il riscontro in ambito ebraico? Su che basi si sta articolando il confronto? Quali i punti di forza e quali invece le fragilità della serie? Queste e molte altre le domande cui abbiamo cercato di dare una risposta, proponendovi anche uno sguardo da dietro le quinte.

Esty e la scelta della fuga

Quando Esty s’immerge nelle acque del lago di Wannsee a Berlino la sua scelta è fatta. L’eroina di Unorthodox – la serie Netflix in yiddish che ha conquistato gli spettatori di tutto il mondo – si sfila la parrucca scura e la abbandona alla corrente.
Poi si lascia galleggiare sul dorso mentre le risate degli amici sfumano in lontananza e i raggi del tramonto le carezzano il volto. Il futuro è ancora tutto da scrivere, ma la fuga dalla comunità hasidica di New York dov’è cresciuta e da un matrimonio combinato vuoto d’amore è ormai senza ritorno.
Liberamente ispirata al discusso memoir di Deborah Feldman Ex Ortodossa (2012), la serie – interpretata dall’attrice israeliana Shira Haas – racconta in quattro puntate la storia di una donna che rifiuta la vita a cui per nascita è destinata e lotta per trovare il suo posto nel mondo.
Quando abbandona la comunità Satmar di Williamsburg, New York, la protagonista Esty ha 19 anni ed è incinta. Lascia alle spalle un matrimonio combinato infelice, una suocera ingombrante e un futuro che soffoca i suoi sogni. Senza bagagli, in tasca solo il passaporto nuovo di zecca e pochi soldi, s’imbarca su un volo per Berlino. Lì vive la madre, che a sua volta ha lasciato la comunità Satmar e si è rifatta una vita. E lì, fra mille incertezze, farà i conti con un mondo diverso da quello che conosce e troverà la via per esprimere il suo talento per la musica.
Se la storia suona familiare è perché la ribellione alla comunità ultraortodossa è un tema ricorrente in letteratura come al cinema. Fra gli esempi più recenti, basti ricordare Disobedience (2017) diretto da Sebastián Lelio con Rachel Weisz e Rachel McAdams, ispirato all’omonimo romanzo di Naomi Alderman; La sposa promessa di Rama Burshtein o la serie Shtisel ambientata a Gerusalemme nel quartiere Gheula.
Unorthodox imprime però un taglio diverso alla traiettoria della sua eroina. Mentre in un gioco di flashback gli scenari berlinesi si intrecciano al passato di Esty nella comunità Satmar, gli autori spingono sull’acceleratore della fiction.
All’inseguimento della donna arrivano dunque a Berlino il marito Yanky (Amit Rahav) e il sanguigno cugino (Jeff Wilbusch). La ricerca di Esty, intanto alle prese con un’improbabile love story, si tinge dunque di giallo, con tanto di pistole trafugate, escort dal cuore d’oro e improbabili interrogazioni a Google.
Diretto da Maria Schrader e scritto da Anna Winger (già autrice di Deutschland 83 e Deutschland 86, due serie thriller ambientate ai tempi della Guerra Fredda) con Alexa Karolinski e Daniel Handler, Unorthodox ha spuntato recensioni entusiastiche e critiche altrettanto feroci.
Il New Yorker ha lodato l’equilibrio e la delicatezza con cui la serie dipinge la comunità Satmar. “Le scene di Unorthodox che si svolgono a Williamsburg e in prevalenza in yiddish rivolgono un’attenzione non affrettata e accattivante ai rituali della vita hasidica”, scrive Rachel Syme. “Vivo a North Brooklyn, a soli venti minuti dalla comunità Satmar e Unorthodox è la volta in cui ho visto più da vicino quello che succede dietro le porte dei miei vicini”.
Sul New York Times, James Poniewozik si sofferma invece sulla doppia valenza del racconto. “Unorthodox è, senza ambiguità, la storia della fuga di una donna da una società che trova soffocante e insostenibile. Ma estende la sua curiosità e la sua comprensione a chi trova l’isolamento hasidico un rifugio da un mondo ostile agli ebrei”.
Discordi invece le reazioni dei diretti interessati. Abby Stein, prima transgender ex hasid, in un incontro online ha definito la serie “necessaria” per chi come lei è stato ignorato o respinto dalla comunità. “Non possiamo ridurre al silenzio chi nelle nostre comunità soffre. È una questione di vita o di morte”.
“Unorthodox non coglie l’anima della comunità hasidica”, attacca invece Frieda Viezel su Forward. “Non riconosco il mondo di Unorthodox in cui la gente è fredda, priva di humor, ossessionata dalle regole”, scrive Viezel, cresciuta in quella realtà che ha poi abbandonata. “Certo – conclude – le persone cattive esistono anche nella comunità hasidica e sono critica di molte sue pratiche, ma questo non significa che tutti vanno in giro silenziosi, seri, cupi, applicando le regole e parlando dell’Olocausto”.
Ancora su Forward Eli Spitzer, membro della comunità hasidica di Londra, definisce “diffamatoria” la descrizione del rapporto fra Esty e il marito Yanky. La relazione, così traumatica per la donna, sostiene, implica che l’intera comunità è “sessualmente aberrante” e trasforma la serie in “un veicolo per un salace e voyeuristica calunnia”.
Unorthodox, conclude, si propone allo spettatore “come ‘il primo ritratto realistico’ della vita hasidica ma offre un ritratto orribile che non raggiunge neanche il livello della caricatura”.
Se è il realismo che si cerca, meglio in effetti rivolgersi altrove. Unorthodox è la comunità Satmar con il filtro patinato di Hollywood, una Berlino di fantasia, le accelerazioni del thriller e lo zucchero delle soap. Gli stereotipi si sprecano e i simboli sono fin troppo sottolineati – poco prima che Esty si immerga nelle acque del Wannsee ci si premura ad esempio di ricordare allo spettatore che proprio su quelle rive in passato si scrisse la soluzione finale. Quel che è peggio, è difficile scrollarsi di dosso il sospetto di un certo voyeurismo nei confronti del mondo ultraortodosso. Però le ricostruzioni d’ambiente sono magnifiche e così le scene del matrimonio, il lavoro sullo yiddish notevole e il volto mobilissimo Shira Haas ha il dono di far sognare. È una storia facile, che appassiona. E forse per una serie televisiva può bastare.

Daniela Gross – Pagine Ebraiche giugno 2020

(23 giugno 2020)