Scuola, la formazione
della persona

Quale scuola per il dopo-pandemia? Saul Meghnagi su Moked affaccia la prospettiva di una revisione dei curricoli, in vista di un nuovo modello di istruzione capace di dare maggiore spazio all’educazione sanitaria anche dal punto di vista operativo, all’ecologia, ai rapporti interculturali. Seguire questa strada sarà indubbiamente utile per rispondere ad alcune esigenze centrali rispetto alla situazione e ai problemi contemporanei: conseguire una maggiore consapevolezza dei rischi reali per la salute collettiva di fronte a ricorrenti epidemie e una conoscenza dei comportamenti atti a fronteggiarle, formare negli studenti una coscienza ecologica globale di fronte a un globale pericolo per l’ambiente, assumere un rapporto consapevole con il fenomeno migratorio considerato in una prospettiva mondiale e in rapporto alla fondamentale salvaguardia dei diritti umani. Si tratta di una linea ricca di significato non solo in sé, ma anche nella prospettiva di una scuola sensibile ai cambiamenti epocali, in grado di adeguarsi alle trasformazioni sociali e capace di fornire competenze effettivamente fruibili nel mondo attuale.
Credo però che occorra porre la massima attenzione a come tutto ciò verrà realizzato e al contesto in cui verrà collocato. La scuola è infatti una delicata struttura d’assieme, che fa riferimento a modelli educativi complessi e internamente articolati, dotati di un proprio equilibrio pedagogico; non è un contenitore in cui inserire sbrigativamente “le novità del giorno” con criteri solo innovativi o quantitativi.
Proviamo a porci un problema didattico di ordine generale. A scuola è più importante la cultura o l’informazione? A mio giudizio quella delle due che di volta in volta è più importante per ciò che a scuola è veramente essenziale, cioè la formazione. Vale a dire che l’obiettivo primario, di fondo e motivazionale della scuola in quanto tale è la formazione della persona; per perseguirla sono centrali (ma non bastano) sia la dimensione culturale sia quella informativa, che devono essere sapientemente dosate quali strumenti educativi. Se poi ci chiediamo cosa ci sia alla basa della formazione, arriviamo certo a concludere che la cultura non può non essere il tessuto connettivo di un sistema scolastico. E quando diciamo “cultura” ci riferiamo a una rete complessa di conoscenze articolate nei diversi orizzonti/settori del sapere, quali lo sviluppo della civiltà ha elaborato nei secoli. Mentre per “informazione” intendiamo in genere l’essere al corrente di alcuni aspetti significativi della realtà che ci circonda; essa appare importante soprattutto quando è particolarmente legata a vicende/situazioni contemporanee; e a scuola può rivelarsi assai utile, anzi preziosa per vivere a contatto col mondo attuale e affrontare adeguatamente frangenti difficili.
Una autentica formazione della persona deve mirare innanzitutto allo sviluppo di una autonoma e critica capacità di giudizio. Proprio per questo fine la cultura è una base irrinunciabile, in termini marxiani direi “strutturale”. L’informazione legata agli specifici aspetti e fatti della contemporaneità è un arricchimento spesso indispensabile, che usando la medesima terminologia potremmo dire “sovrastrutturale”.
Applicando queste riflessioni generali di fondo al problema del modello di scuola per il dopo-pandemia, credo che i suggerimenti di Shaul Meghnagi siano senz’altro da accogliere, ma necessitino della capacità di elaborare le informazioni sui tre temi innovativi (salute, ecologia, rapporti interculturali) in un tessuto culturale strettamente connesso alla rete complessiva che costituisce la sostanza e l’alimento primario di ogni formazione. Ciò comporta anche, come elemento di centrale rilevanza, l’obiettivo volto al raggiungimento di capacità di interpretazione critica e di rielaborazione personale da parte degli studenti.
Sarà una via di elaborazione obbligata, se vogliamo che salute, ecologia e rapporti interculturali divengano vera coscienza e non restino al livello di puro aggiornamento.

David Sorani