Erdogan, dai Dardanelli alla Libia

Un recente Bokertov apriva con un lungo resoconto sulla politica turca in Libia. Stupore e preoccupazione caratterizzavano la nota che riportava anche la notizia di una audizione alla Commissione Esteri del Senato dell’ambasciatore israeliano in Italia per evidenziare le preoccupazioni di Israele per l’espansionismo turco.
Ma, seppure preoccupante, la cosa non è poi così sorprendente: la Turchia è lo stato nato sulle ceneri del nucleo direttivo e dominante dell’Impero Ottomano. Con la prima Guerra Mondiale, l’Impero Ottomano, alleato agli Imperi Centrali d’Europa, fu smantellato: nacquero svariati Stati in Medio Oriente (i cui confini curiosamente furono spesso tracciati con il righello sulla carta geografica) e che rispondevano alle esigenze spartitorie delle Potenze vincitrici (Francia e Gran Bretagna). In quell’occasione la Palestina e la Transgiordania furono assegnate alla Gran Bretagna per consentirle di dare attuazione alle promesse della Dichiarazione Balfour del 1917: la nascita dello Stato d’Israele (seppure su una frazione soltanto di quel territorio) è storia nota.
Ma due anni prima dello scoppio della Guerra Mondiale, con la Guerra del 1911 – 1912 l’Italia aveva già affrontato l’ Impero Ottomano strappandogli la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan, riuniti nella colonia italiana denominata Libia. Non c’è quindi da stupirsi se il neo-sultano della Turchia, manifesta aspirazioni territoriali neo-ottomane sulla Libia. Nel corso di questo conflitto ci fu un episodio di notevole valenza tecnica e di grande ardimento militare.
Fin dall’inizio della guerra, la Marina Militare italiana aveva sviluppato piani per il forzamento dello Stretto dei Dardanelli in modo da attaccare la meno preparata flotta turca, riunita nella baia di Chanak. Le analisi tecnico-militari avevano però concluso che l’utilizzo di navi di grandi dimensioni, sebbene armate pesantemente, (corazzate e incrociatori) avrebbe comportato gravi danni ai mezzi attaccanti e perdite stimate in circa 2 000 uomini: quindi il piano era stato sospeso. Il languire delle trattative diplomatiche indusse però i comandi della Marina a riprendere il progetto nel luglio 1912, per eseguire un’azione dimostrativa negli stretti che, indipendentemente dai risultati, si sarebbe riflessa sul piano politico. Si decise di impiegare le torpediniere della 3ª squadriglia (Spica, Centauro, Perseo, Astore, Climene) agli ordini del capitano di vascello Enrico Millo, che elaborò i piani a Roma in collaborazione con il contrammiraglio Cutinelli Rendina (sottocapo di Stato maggiore della Regia Marina). L’isola di Strati fu selezionata come base logistica per l’azione, l’appoggio indiretto sarebbe stato fornito da un incrociatore (“Vittor Pisani”) e da due cacciatorpediniere (“Borea” e “Nembo”). Le torpediniere si portarono all’imbocco dello stretto il 18 luglio alle 22:30, navigando in linea di fila a 12 nodi, con Millo imbarcato sulla Spica in testa alla fila. Alle 00:40 la torpediniera Astore fu illuminata dal proiettore luminoso di Capo Helles, sulla costa europea dello Stretto, iniziando il cannoneggiamento e dando l’allarme. Le torpediniere riuscirono a eludere i tiri di artiglieria dei turchi, manovrando prima a 20 e poi a 23 nodi, e arrivarono in vista della baia di Chanak per attaccare la flotta turca. La Spica fu bloccata presso Kilid Bar da un cavo di acciaio (probabilmente una rete parasiluri) che ne danneggiò le eliche; dopo diversi tentativi, quando già Millo stava per dare l’ordine di abbandonare la nave, la Spica riuscì a disincagliarsi, ma ormai le probabilità di successo erano molto ridotte e la missione venne interrotta. Dopo aver ripercorso i 20 chilometri dello stretto, le torpediniere superarono l’imbocco sotto il fuoco dei forti di Capo Helles e Kum Kalé, viaggiando a tutta forza e in formazione aperta; le torpediniere si ricongiunsero in mare con le navi di appoggio. I danni alle navi che effettuarono la missione, malgrado il fuoco furioso delle batterie turche furono limitati. Viceversa l’effetto politico della missione fu notevole e contribuì alla vittoria italiana della guerra che assicurò la Libia all’Italia. Per l’impresa il comandante fu decorato con medaglia d’oro e i partecipanti con medaglia d’argento al valor militare.
Interessante il fatto che su una delle navi che partecipò all’impresa era imbarcato un giovane ufficiale ebreo, il guardiamarina Diego Pardo. Discendente di una famiglia ebraica di Venezia, era figlio di Napoleone Pardo, uno dei quattro figli di Giuseppe Pardo, fondatore, nei primi decenni dell’ 800, della ditta “Giuseppe Pardo e Figli” che riforniva di carbone le navi che attraccavano al porto di Venezia. Dopo secoli di navigazione a vela, la propulsione a vapore era la novità tecnologica del tempo. L’incarico e la funzione di Napoleone era quella di mantenere i contatti con i comandanti delle navi per convincerli ad acquistare il carburante dalla ditta Pardo.
Doveva essere dotato di capacità diplomatiche assai elevate se, oltre ad assicurare numerose commesse alla ditta di famiglia, deve essere riuscito a sviluppare anche rapporti di stima e di amicizia con esponenti della marineria internazionale (in particolare con quelli di navi spagnole) che attraccavano a Venezia. Probabilmente in virtù di questi rapporti divenne console onorario di Spagna ed è stato insignito dell’onorificenza di “Gran Cordone del Reale Ordine di Isabella la Cattolica”. L’ordine venne istituito da re Ferdinando VII nel 1815 allo scopo di “premiare la fedeltà alla Spagna ed il merito di cittadini spagnoli e stranieri per il bene della nazione”.Proprio quella nazione che appena tre secoli prima aveva cacciato gli antenati di Napoleone Pardo dai suoi territori.
Evidentemente il giovane figlio Diego si appassionò tanto alla marina da intraprendere la carriera militare in questa arma. E in qualità di ufficiale di marina percorse tutti livelli, raggiungendo i gradi più elevati: ricoprì tutta una serie di incarichi tra i quali quello di addetto militare presso l’ambasciata di Tokyo e contrammiraglio di squadra navale, in Africa Orientale Italiana. Agli inizi del 1938, il contrammiraglio Diego Pardo, tornato in patria dalla sua sede sul Mar Rosso, si aspetta d’esser promosso ammiraglio: si reca a Roma al Ministero della Marina e chiede: “la mia promozione. Quando?” “Mai!” si risponde. “Stiamo per cacciar via tutti gli ebrei da tutti i posti pubblici”. Diego non tiene per sé la risposta. La notizia choc raggiunge tutta la famiglia, che ricorda a distanza di decenni, e non viene smentita neanche dopo la Liberazione, quando Diego tornerà in servizio come contrammiraglio, e così resterà fino alla fine.

Roberto Jona