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Secondigliano e Ramallah

La scomparsa di Zeev Sternhell invita a qualche riflessione che va al di là del semplice compianto per la perdita di un grande storico, uno dei massimi interpreti delle origini del fascismo. Ricordo la sua energia e la sua verve ad un convegno del 1991 promosso da Renzo De Felice sugli stati nazionali e l’emancipazione degli ebrei. De Felice aveva molti difetti, non quello dei pregiudizi nazionali. Erano anni in cui invitare un docente israeliano significava compiere un atto di coraggio. Tra il pubblico era la parola stessa a essere sussurrata: Un professore israeliano! Per paura di essere ascoltati, si guardava verso il basso e si diceva a bassa voce, un po’ come negli anni Cinquanta nessuno aveva il coraggio di dire a fronte alta: Un professore comunista!
Sternhell era molto legato, per via del comune interesse nei confronti delle origini dell’antisemitismo in Francia, ad uno dei più brillanti e geniali allievi di De Felice, poi prematuramente scomparso, Niccolò Zapponi. Non solo la storiografia era in quegli anni un tabù, ma tutta quanta la vita culturale di Israele era terra incognita. Hic sunt leones: sconosciuto il cinema, le arti figurative, la letteratura. La storia era temuta più d’ogni altra cosa. La fortuna di Benny Morris e Tom Segev appartiene a una nuova stagione. I libri di Sternhell, benché tradotti in italiano, non avevano circolazione, così come presto finì nel dimenticatoio il lavoro di un altro brillante storico come Meir Michaelis, il cui libro su Mussolini e il fascismo oggi non viene quasi più citato.
Su Sternhell pesò il suo essere storico delle idee, la sua tesi sul potere seduttivo del Duce fu interpretata come una variante esotica e tardiva del liberalismo di Croce. Destino volle che uno dei suoi libri più famosi, Né destra né sinistra, fosse apparso in Italia in contemporanea con un fortunato pamphlet di Norberto Bobbio avente più o meno lo stesso titolo. Sternhell e Bobbio andrebbero oggi imposti come letture coatte ai grillini che ripetono in giro la stessa favola. Non esisterebbe più, secondo loro, destra e sinistra. Si leggessero Bobbio e Sternhell!
Sul finire del millennio e all’inizio del successivo le cose cambiarono, ma le intersezioni fra Israele e Italia non hanno toccato la storiografia: è sempre rimasta una specie di asimmetria, una doppia velocità, sommata alla diffidenza provinciale di chi da noi vede con sospetto studiosi stranieri occuparsi di Mussolini. L’asimmetria è legata anche al fatto che la vita politica italiana e israeliana come ovvio hanno conosciuto in questi decenni snodi e sviluppi non conciliabili, che hanno determinato casi paradossali come quello di Sternhell, pacifista e politico di sinistra in Israele, ma in Europa inserito in un orizzonte di ricezione più vicino al mondo della destra conservatrice. Un groviglio che bisognerebbe prima o poi tentare di sciogliere. Come che sia, nella storiografia, le barriere sono rimaste più granitiche che mai, mentre la letteratura iniziava ad abbatterle. Erano gli anni in cui gli italiani scoprivano prima Yehoshua, poi Oz, infine Grossman. Più tardi molto ha fatto per favorire una maggiore conoscenza la straordinaria bravura dei registi israeliani, il cinema. Oggi, complice il lockdown, è venuto il momento delle popolari serie televisive, da Shtisel a Prisoners of War, al terribile Fauda, che induce lo spettatore italiano a facili paragoni con Gomorra e forse nasconde una pericolosa somiglianza fra il modo con cui si rappresentano il conflitto con i palestinesi e le lotte fra bande di mafia. Il discorso ci porta però lontano dal punto di partenza. Non oso immaginare il giudizio sprezzante che Sternhell e Zapponi avrebbero pronunciato di questo uso mediatico che sta rendendo paradossalmente identici, nella versione televisiva italiana e israeliana, i vicoli di Secondigliano con quelli di Ramallah.

Alberto Cavaglion