Letture facoltative
Cristo si è fermato a Eboli

Carlo Levi, condannato dal fascismo al confino per l’aperta opposizione al regime, ha descritto i due anni trascorsi in piccoli borghi della Lucania in “Cristo si è fermato a Eboli”, tra i libri fondamentali della letteratura italiana del Novecento. Quella di Levi è un’avventura intellettuale unica in cui l’autore, che è anche medico e pittore, diventa antropologo sul campo. E proprio come antropologo Levi sceglie l’avvicinamento, l’adesione, il coinvolgimento in un mondo che non ha nulla a che fare con i viali alberati, il liceo classico e l’università di Torino. La comprensione umanissima, alternativa vera all’enumerazione didascalica delle disgrazie che invece compie la sorella Luisa durante una visita a Matera, è la cifra forse più autentica del libro. Ma anche nei paesi di Grassano e Gagliano, al confinato Levi non è data la possibilità di muoversi. La strada che segue è allora quella che scende nelle profondità di una civiltà contadina atavica e arcana, dove scopre il viluppo di nessi che legano gli uomini a luoghi scabri, aridi, duri e, non meno importanti, quelli tra uomini e animali. La civiltà di Gagliano è estranea al fascismo non perché antifascista, ma perché estranea allo stato e alla storia. Gli abitanti del paese “sono, in tutti i sensi del termine, pagani, non cittadini: gli dèi dello Stato e della città non possono aver culto fra queste argille, dove regna il lupo e l’antico, nero cinghiale, né alcun muro separa il mondo degli uomini da quello degli animali e degli spiriti, né le fronde degli alberi visibili dalle oscure radici sotterranee”. “Non possono avere neppure una vera coscienza individuale” e quindi tra le pietre rotte dal sole e gli anfratti malarici “non possono esistere la felicità […] né la speranza, che sono pur sempre dei sentimenti individuali, ma la cupa passività di una natura dolorosa”.

Giorgio Berruto

(25 giugno 2020)