Annessioni e distorsioni
Lo dico subito. Personalmente considero negativamente il progetto di annessione delle zone della valle del Giordano proposto da Netanyahu e supportato dall’attuale amministrazione statunitense. La stessa opinione pubblica israeliana è divisa su questo tema, e il dibattito si è esteso anche alle comunità della diaspora. Non entrerò tuttavia nello specifico del problema, anche perché non ho modo di influire in nulla sulla dinamica degli eventi.
Intervengo invece su una modalità di protesta che non condivido, espressione di una vecchia e sbagliata retorica che non conduce ad alcuna concreta e incisiva azione politica poiché si basa su premesse sbagliate e su messaggi antistorici. È stato pubblicato martedì su Facebook un appello di una importante Fondazione culturale italiana con il quale si esprime una forte protesta per l’imminente decisione del governo israeliano. Ogni atto compiuto nel mondo da qualsivoglia autorità politica è correttamente sottoposto al vaglio del dibattito democratico internazionale. Anche nel caso della paventata annessione da parte di Israele di alcune zone della valle del Giordano le critiche sono quindi legittime e fanno parte della normale dialettica democratica nella quale tutti noi ci riconosciamo. Trovo tuttavia inaccettabile che nel comunicato siano inclusi due elementi che respingo con forza perché contribuiscono a distorcere la realtà dei fatti, a indebolire ogni legittima azione di critica politica e a depotenziare qualsiasi azione positiva che eventualmente si volesse intraprendere.
Nello specifico, si legge la seguente frase: “Si tratta non soltanto di un atto illegittimo, come ampiamente riconosciuto dalla comunità internazionale, ma anche di un’ulteriore prosecuzione di quella specie di ‘genocidio goccia a goccia’ che quel Governo sta progressivamente realizzando, al di là della forte opposizione anche interna nella società civile israeliana, nei confronti del Popolo Palestinese”. Lo vorrei qui ricordare con chiarezza: l’utilizzo del termine “genocidio” in quel contesto rappresenta una autentica falsità priva di fondamento storico e giuridico. Il suo uso nel quadro del conflitto israelo-palestinese contribuisce ad alimentare l’equazione fasulla di Israele=Nazismo che è uno degli stereotipi più comuni che alimentano la propaganda antisemita contemporanea.
Proseguendo, possiamo ancora leggere: “Possa la memoria e il dolore delle indicibili tragedie patite dal Popolo Ebraico generare nella società israeliana e nella comunità dei popoli una solidarietà capace di accompagnare e rinforzare la resistenza del Popolo Palestinese”. Anche in questo caso vorrei essere chiaro: chi scrive documenti politici dovrebbe prima studiare almeno un po’ (ad esempio andando a rileggere l’articolo “Davide, discolpati!”, splendido e definitivo, scritto da Rosellina Balbi su Repubblica il 6 luglio 1982). Il richiamo al “dolore delle indicibili tragedie patite dal popolo ebraico” costituisce una sibillina, inopportuna e grave chiamata a correo degli ebrei del mondo, ai quali in qualche misura il comunicato addebita una corresponsabilità nell’azione politica di un governo secolare di uno stato democratico che ha giurisdizione su un territorio abitato da ebrei, musulmani, cristiani. Un governo che, peraltro, non è per nulla omogeneo nel sottoscrivere la proposta del premier Netanyahu e rischia di dissolversi proprio su questa decisione.
Di certo la società civile ha il diritto/dovere di esprimere opinioni e organizzare azioni politiche nella convinzione che il mondo sia un villaggio globale di cui tutti siamo in egual misura responsabili. Quando però la critica si fonda su mistificazioni e sull’utilizzo improprio di stereotipi, il terreno diventa scivoloso e si fa fatica a costruire azioni che diano concretezza alla critica e che propongano percorsi di pacificazione.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC