Controvento
Gli anziani e il virus

Durante l’epidemia di Covid le case di riposo sono state le più colpite, con situazioni drammatiche non solo dal punto di vista sanitario, ma anche psicologico e umano. Anziani morti da soli, senza il conforto dei loro cari, chiusi in anguste stanze per settimane e a volte per mesi in totale isolamento, abbandonati a combattere una malattia letale soprattutto per loro.
Ma ci sono anche esempi virtuosi. In Ticino, la dottoressa Loriana Gianmarino Bihl, specialista geriatra, è riuscita a gestire una residenza con più di settanta posti letto senza nemmeno un caso di contagio. È una vicenda poco nota perché in Svizzera, a differenza che da noi, le esternazioni individuali non sono permesse, l’autorità sanitaria parla con una sola voce. E se sono riuscita a farmi raccontare la storia della dottoressa è stato solo con la promessa di non citare la struttura in cui lavora.
Dottoressa, perché le case di riposto sono state così colpite?
Il vero problema è che non si è capita subito la gravità della situazione, soprattutto per gli anziani nel contatto con operatori e famigliari ancora asintomatici o lievemente sintomatici ma non diagnosticati per la mancanza di test. Poi bisogna pensare alle condizioni ambientali delle strutture: spazi angusti, poco ricambio d’aria, molte attività comuni, i pasti, l’intrattenimento. C’è stato un grave errore dell’OMS, che inizialmente ha dichiarato che le mascherine erano inutili. Gli anziani soffrono quasi sempre di ipoacusia, e si aiutano leggendo il labiale del personale che li assiste. È naturale che se le mascherine non vengono considerate indispensabili infermieri e medici preferiscano evitarle per comunicare meglio con gli ospiti. Insomma, c’è stata una serie di concause che non era facile prevedere, anche perché all’inizio del virus non si sapeva nulla.
Lei però è riuscita ad evitare che il Covid entrasse nella sua struttura. Come ha fatto?
Quando abbiamo avuto notizia a fine febbraio di ciò che stava avvenendo in Lombardia, ovvero dietro l’angolo per noi, abbiamo deciso di mettere in atto misure molto restrittive, dieci giorni prima che l’Autorità cantonale le rendesse obbligatorie per tutti. Su consiglio dei professori Andreas Cerny e Christian Garzoni, infettivologi che conosco e stimo e che monitoravano la situazione italiana, abbiamo sospeso le visite dei parenti (e non è stato facile, perché siamo stati inondati dalle proteste), la fisioterapia, l’ergoterapia, il parrucchiere, i medici entravano solo per le urgenze e al personale sanitario misuravano ogni giorno la febbre e li abbiamo obbligati a indossare sempre guanti e mascherine. Non è stato facile, sembrava che fossimo inutilmente allarmisti e crudeli, ma ho cercato di spiegare che in questa situazione non si poteva pensare alle legittime esigenze del singolo, ma bisognava pensare al benessere della comunità.
L’isolamento per gli anziani ha però molti aspetti negativi, a livello fisico e psicologico: come li avete affrontati?
È stato penoso. Chi ha intatte le capacità cognitive ed era consapevole di quello che stava succedendo fuori se ne è fatto una ragione. Gli altri sono andati in depressione, perché non capivano, si sono sentiti abbandonati, c’è chi ha smesso di nutrirsi, chi non voleva più alzarsi dal letto. Una situazione molto dolorosa. Per quanto possibile, ci siamo dati fa fare. Abbiamo organizzato video conferenze con famigliari e figli, appena è stato possibile abbiamo permesso le visite in giardino, con distanziamento e mascherine. Il Covid è una malattia grave, non un’influenza, come alcuni sostengono. E ora è il momento di stare attenti, perché con l’estate e il declino dei casi si tende a lasciarsi andare, a trascurare le misure preventive. Se posso dare un consiglio, è di evitare gli assembramenti, perché nei grandi gruppi a stretto contatto per periodi lunghi la carica virale diventa esponenziale – e infatti i focolai più pericolosi si sono sviluppati durante il Carnevale di Bellinzona, nelle funivie, nelle partite di calcio e negli ospedali dove c’erano molti malati.

Le fotografie di folle sulle spiagge, nelle piazze, nei luoghi pubblici in tutta Europa fanno purtroppo temere una recrudescenza della malattia, come è avvenuto anche in Israele, che sembrava averla debellata.

Viviana Kasam