L’assenza di una visione prospettica
Il rinnovato inesauribile razzismo che a più riprese esplode in America e non solo, accanto alla pulsione distruttiva nei confronti della storia e dei suoi documenti: sono due patologie di questi giorni pesanti, che forse è necessario sottoporre a un confronto analitico per capire meglio la situazione in cui siamo immersi.
Perché il razzismo ancora oggi – potremmo chiederci – quando i suoi falsi miti fondanti, nazionalistici o imperialisti o biologici, sono stati tutti da tempo sconfessati in modo incontrovertibile? Ogni forma di razzismo appare inattuale e inadeguata rispetto alle nostre conoscenze, alla nostra visione necessariamente globale del mondo. Eppure esso si mostra ancora tragicamente presente e praticato. Perché?
Anche l’iconoclastia contro i giudizi, i personaggi, i simboli della storia appare evidentemente assurda quando gli eventi e i loro lasciti sono acquisiti e diremmo assorbiti dal trascorrere dei secoli, quando è ormai noto e accettato che anche l’interpretazione storica muta col cambiare delle epoche confacendosi alle diverse visioni del mondo. Perché adesso compare questa voglia di sentenze rovesciate e definitive?
Dietro il razzismo dei nostri giorni possiamo forse leggere un inesausto penetrante bisogno, in singoli e in gruppi socialmente frustrati, di emergere in modo ancestrale-dominante-valoriale su un altro, anzi su alcune categorie disprezzate di “altri” da cui essi a torto si sentono assoggettati o impediti. Se cioè sono state annientate dalla storia le motivazioni ideologiche e le impalcature sovrastrutturali del razzismo, sono ancora operanti le sue cause scatenanti dal punto di vista psicologico e sociale.
L’iconoclastia si manifesta come lo sfogo immediato, popolare di fronte a un bisogno semplice. Esprime una furia ribelle contro il passato ingiusto; e lo fa in modo ingenuo e superficiale, coinvolgendo sommariamente tutte le epoche storiche durante le quali un determinato dominio è stato stabilito. Senza domande, senza risposte, senza capire: lanciando sentenze alla cieca, come anatemi.
Varie analogie di fondo si profilano tra i due atteggiamenti. In entrambi i casi procediamo verso un imbarbarimento. E’ imbarbarimento, è perdere la civiltà praticare il razzismo. Oggi, smentiti come visto tutti i falsi miti, lo è ancora più di ieri. È imbarbarimento, è perdere se stessi distruggere il passato dicendo semplicisticamente “noi siamo migliori”, sostituendo l’iconoclastia alla consapevolezza e alla critica storica. Certo, il razzismo ha una propria originaria componente di disumanità che lo rende più odioso e moralmente aberrante. Ma alle spalle dei due atteggiamenti c’è un analogo senso di superiorità e di violento rifiuto, verso il prossimo in un caso – verso il passato e la storia nell’altro; c’è un analogo vuoto di retroterra culturale, una analoga mancanza di comprensione di situazioni ed eventi, una analoga assenza di visione e di profondità prospettica rispetto al presente e al futuro, un analogo smarrimento del pensiero e di quella saggezza che proprio gli antichi – tanto nella nostra tradizione ebraica quanto nella tradizione filosofica occidentale e orientale – ci hanno insegnato. Quegli antichi che oggi molti manderebbero volentieri al macero insieme a tutta la storia.
L’emergere attuale e contemporaneo di queste due follie, fra loro diverse eppure parenti, è un segno della pochezza del tempo che stiamo vivendo. Un tempo in cui non solo “tira una brutta aria”, come giustamente notava Anna Foa pochi giorni fa su questa rubrica, ma prevale anche una piattezza distruttiva che annienta la ragione rendendo difficile una convivenza sociale costruttiva, indispensabile invece ora che abbiamo davanti un immane compito di ricomposizione.
David Sorani
(30 giugno 2020)