Ticketless – I modernisti, gli ebrei e l’ebraismo
Segnalo questa settimana l’ultimo numero di “Modernism”, rivista annuale di storia del riformismo religioso in età contemporanea – Annual Journal of Contemporary Religious Reformism (Morcelliana). Mi limito ad un semplice cenno, il volume richiederebbe altra analisi. Il fascicolo s’intitola I modernisti, gli ebrei e l’ebraismo ed è stato curato da Alfonso Botti, Cristiana Facchini e Paolo Zanini. Il tema non è privo di attualità e a quella stagione quanti hanno a cuore il pluralismo e la libertà religiosa dovrebbero ritornare a riflettere. Nella tragedia del modernismo si specchiarono tutte le minoranze religiose. S’è parlato anche di un modernismo islamico.
Che sia esistito, fra 1907 e 1912 circa, un modernismo ebraico è un dato acquisito, sebbene di dimensioni minuscole, animato da coraggiosi profeti disarmati che puntualmente ruinorno. In Italia riformare non piace a nessuno, controriformare sì. L’esperienza toccò da vicino Formiggini, cui si deve l’idea di tradurre il Gesù di Montefiore. Del filosemitismo di padre Giovanni Semeria parla in questo fascicolo Antonio Gentili; Isabella Pera esamina Una libera tribuna per l’ebraismo. La rivista “Coenobium” (1906- 1919). Si parla di una figura femminile importante come Elga Ohlsen. A vario titolo risentirono di quella ventata di rinnovamento alcune personalità dell’ebraismo italiano, che in un secondo momento virarono in direzione opposta: da Dante Lattes al giovane Cassuto, sensibilissimo al problema della lettura critica del testo biblico (uno studio sulle varianti presenti nelle successive edizioni di questi suoi giovanili studi sarebbe auspicabile per osservare una metamorfosi). Del Gesù ebreo e del Vangelo come forma di Midrash all’inizio del Novecento parlavano molti intellettuali ebrei, non necessariamente ebrei tiepidi, prossimi alla conversione. La questione è seria come ricorderanno i lettori di uno degli ultimi e appassionanti romanzi di Amos Oz, Giuda.
Qualcuno si avvicinò al modernismo in modo superficiale, ma onesto, per esempio Raffaele Ottolenghi. Alla scuola romana di Buonaiuti non dimentichiamo però che si formò Enzo Sereni. Al rapporto fra Buonaiuti e l’ebraismo in questo fascicolo si legge un bel saggio di Rocco Cerrato. Nel kibbutz Sereni portò molti elementi del pensiero gentiliano, ma anche tanto pathos buonaiutiano e tanto fervore modernista. In questo clima si formò Israel Zoller, che avrà avuto tante colpe, ma non si può accusarlo retroattivamente di una qualche propensione al cristianesimo: nel cammino verso la tragica sua scelta del 1944-1945 il modernismo d’inizio secolo è innocente. La sua terribile scelta è tutta riconducibile alle tremende giornate romane dell’ottobre 1943.
Alberto Cavaglion