La campagna dell’ADL
“Facebook lucra sull’odio,
è il momento di agire”
Istituita nel 1913 per lottare contro l’antisemitismo e per la difesa dei diritti umani, l’Anti-Defamation League è un’organizzazione non governativa ebraica che da tempo si batte per affermare le proprie istanze nel mondo reale come in quello dei social network. Sono numerose le iniziative in cui ha lasciato in questi anni il segno. L’ultima, appena lanciata in collaborazione con altre associazioni impegnate su questi temi, è tra quelle forse destinate a fare la storia.
Sono centinaia infatti le aziende e multinazionali che hanno aderito alla campagna “Stop hate for profit”, promossa nelle scorse settimane sull’onda delle proteste contro il razzismo che hanno attraversato gli Stati Uniti dopo l’uccisione di George Floyd. E soprattutto dell’odio che in risposta è circolato sul web, dove grande ribalta hanno ottenuto estremisti e sostenitori della causa del suprematismo. Sul banco degli imputati c’è Facebook, ancora una volta sottrattosi al suo compito di vigilanza e intervento. Agli aderenti all’appello si chiede pertanto un gesto concreto: la sospensione, in quel contesto, di ogni attività pubblicitaria. La mobilitazione diventa di giorno in giorno sempre più significativa.
“Facebook ha fatto entrare nelle nostre case e vite alcuni dei peggiori elementi della società”: è l’accusa di Jonathan Greenblatt, dal 2014 alla guida dell’Anti-Defamation League. Dieci le proposte concrete rivolte al colosso guidato da Zuckerberg per tentare di risolvere un problema che si trascina ormai da anni. Dalla formazione di esperti alla repressione senza sconti di tutti quei contenuti che strizzino l’occhio all’odio e alla violenza. Al centro dell’attenzione c’è anche un tema spesso sollevato dalla ong (che in passato, vanamente, ha cercato di collaborare su questa e altre questioni con Facebook): la tribuna impunemente concessa ai negazionisti della Shoah.
(2 luglio 2020)