Il tempo e la misura
La pandemia che stiamo attraversando, i cui effetti di lungo periodo sono ancora per buona parte da misurare, non muta solo il modo in cui ci relazioniamo gli uni con gli altri (ovvero la trascorsa quarantena ed i suoi effetti di lungo periodo) ma anche e soprattutto le prospettive di vita dei molti. In tutta probabilità, un giorno verrà ricordata come uno spartiacque, al pari delle due guerre mondiali trascorse. Uno spartiacque tra ciò che è stato e quello che, nel mentre, è poi intervenuto, andando infine a confermarsi con il trascorre delle cose. Quindi, tra come abbiamo vissuto noi stessi fino all’inizio di quest’anno e come saremo, o riusciremo ad essere, nei tempi a venire. Giacché ci risulta difficile capire, da subito, che cosa tutto ciò potrà effettivamente comportare, sul lungo periodo, per le società che ne sono coinvolte. Sapendo che ne siamo comunque chiamati inesorabilmente in causa, in prima persona. Ma è proprio per una tale ragione che i sui effetti immediati possono già da ora essere ragionati come quelli che inaugurano una sorta di lungo dopoguerra, destinato a proseguire in avanti. Intorno a noi non ci sono le distruzioni materiali di un conflitto combattuto con le armi. Infatti, nulla di ciò che ci risulta abituale, alla vista di ogni giorno, parrebbe essere veramente mutato. Non siamo in una situazione di carestia; semmai rischiamo di subire gli effetti (tuttavia non meno devastanti) di un eccesso bulimico di offerta. Quella di beni che non possiamo acquistare né sapremmo, in molti casi, come consumare. Mentre invece i cambiamenti sono in atto nei rapporti interpersonali, nel modo in cui lavoriamo, nelle stesse aspettative che nutriamo dal momento in cui ci adoperiamo concretamente per tutelare noi stessi, i nostri cari, le prerogative per il tramite delle quali difendiamo la nostra posizione sociale e civile. Per usare una sola parola: la nostra dignità. Il Coronavirus non ha generato da sé il mutamento di cui siamo involontari spettatori e, al medesimo tempo, protagonisti passivi, sui quali ricadono con inesorabile determinazione tutti gli effetti. Tuttavia lo ha senz’altro accelerato nei tempi e radicalizzato nei suoi processi. Rendendo gli uni e gli altri ancora più irreversibili di quanto già non lo fossero sei mesi fa, prima che il processo pandemico divenisse evidente a tutti. Al pari di una guerra che, da alcuni focolai isolati, molto velocemente si trasmette in un’intera regione, poi in una nazione, infine in un consesso di società, per poi superare i continenti. Con buona pace dei confini, delle barriere e cos’altro. Di fatto sappiamo quel che siamo stati e ciò che potremmo lasciarci alle spalle ma fatichiamo anche solo ad immaginarci per come saremo, quando avremo varcato alcune soglie critiche. Comprensibilmente, la sola idea ci crea disagio se non timore. Poiché, nella storia dell’umanità, dinanzi a varchi e bivi di tale genere, sempre è stato così. Nessuno ha la verità in tasca ed è quindi bene diffidare di chi, in quanto falso profeta, asserisca diversamente. Dopo di che, piaccia o meno, sempre più spesso dovremo vivere una netta ambivalenza: da una parte la necessità di affrontare le sfide dei tempi a venire con le poche risorse che le circostanze ci consegnano, all’interno di una rete di relazioni inevitabilmente circoscritte. Nessuno di noi, benché possa ancora pensarsi “cittadino del mondo”, ovvero ambire ad essere tale, ha risorse ed opportunità infinite. Deve inevitabilmente contare su ciò che gli è accessibile: ed è tanto più vincolato laddove ha scarse o nulle disponibilità, non solo di ordine materiale ed economico ma anche di natura culturale e civile. Ciò che chiamiamo ricchezza e povertà sono strettamente correlate alla qualità e alla quantità di “capitale” (concetto che non rimanda ai soli denari, per intenderci) che si ha a disposizione. Il secondo aspetto dell’ambivalenza è che saremo comunque costretti sempre più spesso ad interagire in un contesto globalizzato e digitalizzato, dove la volontà di ognuno di noi dipenderà da meccanismi e fattori che non governiamo direttamente. Non almeno con la nostra sola forza. Con un crescente senso di espropriazione. Di sé, del proprio diritto di decidere riguardo all’esistenza e così via. Anche questo elemento si sta infatti imponendo a prescindere. Ed i suoi effetti sono comunque direttamente proporzionali alla rete di garanzie che gli organismi sovra-ordinati rispetto agli individui, a partire dagli Stati, riescono a garantire a ciascuno di noi. Un esempio evidente c’è offerto dalla stessa pandemia: stanno reggendo in modo migliore quei paesi che hanno una sanità pubblica maggiormente sviluppata e concretamente collegata ai bisogni delle rispettive collettività. Parrebbe essere un dato ovvio ma nelle discussioni, il più delle volte intrise di ideologia, che si scatenano sui mezzi di comunicazione, sono spesso i riscontri immediati ad essere persi di vista. Come il cambiamento non può essere fermato con la sola “forza di volontà” (di chi, peraltro, quando le sproporzioni sono tali da fare sì che non solo gli individui ma anche le “masse storiche”, ossia le grandi collettività, siano soverchiate dai processi in atto?), al pari non si deve attribuire ad esso un inesistente valore “naturale”. Come se le cose fossero parte di un qualche disegno precostituito e non chiamassero invece in causa la responsabilità umana. I cambiamenti sociali, da sempre, non hanno nulla a che fare con la cosiddetta “natura”. Che è invece tutto un altro discorso. Mentre hanno molto da condividere con le questioni che rimandano al rapporto tra giustizia, equità e libertà. Una serie di nessi che presto verranno rilanciati dai fatti medesimi, con la loro potenza. Molti saranno i vincoli con i quali dovremo confrontarci ma non è detto che, al netto delle tante difficoltà, non emerga anche qualcosa di nuovo. Qualcosa che ci imponga, con uno scatto di orgoglio e di necessità (le due cose spesso si tengono insieme), di uscire dalla palude di un orizzonte grigio poiché privo di qualsiasi desiderio che non sia la sola esistenza fine a sé.
Claudio Vercelli