Controvento – Il turismo e il virus
La recrudescenza dei casi di Covid-19 mette in luce gli errori, e non solo in Italia, di una riapertura indiscriminata e poco lungimirante. In Svizzera per esempio, si è verificato un picco preoccupante dopo che le autorità hanno consentito la riapertura delle discoteche (non bisogna essere Einstein per capire che migliaia di ragazzi a stretto contatto che ballano, sudano e si baciano sono un potenziale covo di contagio). Ora si è corsi ai ripari vietando gli assembramenti di oltre 300 persone e rendendo di nuovo obbligatorie le mascherine, ma ormai la stalla è stata aperta e i buoi sono scappati. È vero che i giovani sono stufi di restare chiusi per proteggere gli anziani (i ragazzi che non hanno situazioni di malattie croniche anche se contraggono il virus rimangono quasi sempre asintomatici o con sintomi lievi) ma nelle discoteche la carica virale è altissima e il focolaio si propaga rapidamente alle famiglie. Perché non approfittare dell’epidemia per creare una diversa cultura del divertimento, aiutando i ragazzi a riscoprire rapporti sociali più sani? La mia generazione si è divertita molto e non esistevano ancora le discoteche, si ballava sulla spiaggia in piccoli gruppi e chi aveva un giardino organizzava piccole feste.
Ancora più critica la situazione del turismo, soprattutto nei Paesi in cui, come l’Italia e la Grecia, il fatturato è fortemente dipendente dall’afflusso estivo degli stranieri.
Ho viaggiato in treno tra Roma e Milano durante l’ultima settimana e mi ha stupito la mancanza di qualsiasi forma di controllo. Ai binari non è stata misurata la febbre ai passeggeri, ma semplicemente consegnato un pacchettino con mascherina e salvietta disinfettante (lo stesso personale potrebbe in un attimo controllare anche la temperatura corporea e vietare l’accesso a chi supera gli standard previsti, come avveniva, mi confermano alcuni viaggiatori, fino a qualche giorno fa). Nel mio scompartimento tre persone su quattro si sono subito abbassate la mascherina sotto il mento, e un signore anziano addirittura non se l’è messa. Alle mie proteste ha ribadito in modo molto aggressivo che lui è sano; gli ho risposto che malata potrei essere io e vista la sua età metterlo a rischio, ma per convincerlo ho dovuto chiamare il capotreno, che aveva controllato i biglietti ma non il corretto uso delle mascherine. I treni ad alta velocità sono quelli più utilizzati dai turisti, e quindi controlli severi sarebbero opportuni.
A Fiumicino, nessuna misurazione della temperatura per i voli in partenza: di nuovo, non sarebbe utile cercare di riconoscere e testare chi è potenzialmente infetto? Si fa presso i parrucchieri e i negozi: perché non nelle stazioni e negli aeroporti, luoghi molto più pericolosi? Proteggiamo – anche se con scarsi risultati – gli ingressi nel nostro Paese: non dovremmo sentire la responsabilità verso gli altri di non far uscire le persone potenzialmente malate? Mal comune mezzo gaudio: lo stesso avviene all’aeroporto di Zurigo, dove non viene neanche rispettato il distanziamento e l’uso delle mascherine. Nonostante le esitazioni dell’OMS in materia di trasmissione aerea, la maggior parte degli scienziati ritiene che il virus si trasmetta nell’aria, come conferma un lungo articolo del New York Times, e quindi nei luoghi chiusi mascherine e distanziamento sono una misura indispensabile.
La Grecia, il Paese in assoluto più dipendente dal turismo estivo ma anche quello più a rischio per la debolezza del sistema sanitario (sulle piccole isole non ci sono ospedali e negli ambulatori vengono inviati giovani medici in tirocinio: una epidemia avrebbe conseguenze drammatiche) è stata tra gli ultimi ad aprire le frontiere, selezionando con attenzione i Paesi ai quali consentire l’accesso, e ha messo a punto un sistema efficiente di controllo, purtroppo non privo di errori.
Prima di partire è necessario compilare un formulario con i propri dati di recapito e indirizzo, e si riceve da Governo un codice QR da scaricare sul telefono, per poter essere sempre rintracciabili. Senza codice non si entra.
All’arrivo, sono stati allestiti negli aeroporti presidi medici per effettuare il tampone a tutti i viaggiatori provenienti dall’estero. I poliziotti controllano il codice QR e lo riportano sul tampone, efficienti infermiere provviste di visiera, mascherina e guanti in un attimo effettuano l’esame (mi chiedo perché in Italia è così difficile fare il tampone: ci vuole la prescrizione del medico di base e poi bisogna andare alla ASL. Non sarebbe utile consentire a chi vuole fare il test, magari perché deve viaggiare, sottoporsi privatamente a pagamento, come avviene per esempio in Svizzera?)
Il problema del sistema greco è il follow up. Ho chiesto all’infermiera quali norme dovevo rispettare in attesa del risultato. Mi ha risposto: niente, se risulta positiva entro 24 ore la contattiamo. Ma in quelle 24 ore potrei contagiare un gran numero di persone. Eppure sarebbe così facile insieme al tampone misurare anche la temperatura (esame che non costa nulla e richiede un secondo), e imporre alle persone che superano i 37.5 gradi di rimanere in isolamento fino al risultato del test. La febbre non è un indicatore sicuro, ma almeno consente un primo screening di chi è potenzialmente malato.
Si ha l’impressione che sulle ragioni sanitarie prevalgano quelle economiche, e in primis la paura di spaventare i turisti. Con una miopia allucinante, perché, se l’epidemia che cova sotto al cenere dovesse riaccendersi, le conseguenze sull’economia e sul turismo sarebbero ben più gravi.
In Italia, i nuovi focolai vengono fatti risalire a cittadini italiani che si sono recati all’estero o a stranieri provenienti da Paesi a rischio. Questo significa che i controlli in ingresso non sono efficienti. Il turismo va benissimo, ma deve essere responsabile. Stazioni, aeroporti, dogane per il passaggio delle auto dovrebbero effettuare controlli della temperatura, e impedire l’accesso, se non previo tampone, a chi ha la febbre. E se la Grecia, Paese molto più ovvero del nostro e con un afflusso turistico dall’estero altrettanto, se non più importante, è riuscita ad allestire punti di controllo sanitario all’ingresso nel Paese, perché non dovremmo farlo anche noi? Il traffico in auto, ora che non ci sono più le frontiere, è difficile da controllare (ma dalla Svizzera, dove le dogane ci sono, non viene effettuata alcuna forma di monitoraggio). Si potrebbe comunque cominciare da aeroporti e stazioni e magari dai caselli autostradali vicino al confine. Sarebbe anche un modo di dare lavoro a molti giovani disoccupati (per misurare la febbre non è necessaria una formazione particolare). Sono misure di buonsenso che consentirebbero di affrontare l’estate con maggiore tranquillità e di evitare di demonizzare gli stranieri – in particolare gli extracomunitari – regalando opportunità ai razzisti e agli xenofobi.
Infine, un consiglio di buon senso. L’Italia ha sviluppato una ottima app di notifica delle esposizioni al Covid-19, messa a punto dallo staff del ministro per l’innovazione e la digitalizzazione Paola Pisano, che garantisce l’anonimato (quindi nessuna paura del Grande Fratello) ed è, con più di quattro milioni di utenti che l’hanno scaricata sinora, la seconda app con queste funzioni più popolare nell’Unione Europea. In attesa della prevista campagna di sensibilizzazione, alla quale si sta lavorando, sarebbe utile consigliarne fortemente l’utilizzo a tutti gli stranieri che vogliono entrare in Italia. È stata tradotta in più lingue e in sede europea di sta lavorando all’interoperabilità delle app di tracciamento, in modo che i turisti possano essere seguiti nei loro spostamenti oltrefrontiera. Purtroppo persistono molte diffidenze alimentate come sempre dai social e dalle fake news, ma se vogliamo una estate serena dobbiamo prenderci la responsabilità collettiva e individuale delle misure di sicurezza.
Viviana Kasam