Periscopio – Celan e l’esistenza

Quest’anno, 2020, cade, com’è noto, il centesimo anniversario della nascita e il cinquantesimo della tragica morte di Paul Celan, uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, straordinario testimone dell’abisso della Shoah (che inghiottì, com’è noto, entrambi i suoi genitori), interprete ineguagliabile dello strazio del popolo ebraico e del cupo destino dell’umanità tutta. Eppure, ciò nonostante, indomito alfiere di speranza, di resistenza, autore di versi indimenticabili, intrisi di dolore ma anche di domanda, di attesa, nei quali è possibile scorgere, anche nelle tenebre più fitte, il tremore di una pallida, lontanissima luce.
Non mi sento in grado di commentare il lascito di un autore la cui lettura ha il principale effetto di indurmi al silenzio. Le parole di Paul Celan sono per me come delle cicatrici sulla pietra, dei suoni muti, delle sillabe senza suono provenienti da un Ade deserto, non popolato neanche dai morti, solo dal nulla. C’è, però, chi, più bravo e coraggioso di me, riesce a recepire e a trasmettere il messaggio di Celan: per esempio, la giovane Camilla Balbi (di cui ho già avuto modo di parlare altre volte su queste colonne), che ha dedicato all’immenso testimone delle parole toccanti, nel contributo (dedicato al Childrens’ Memorial di Yad Vashem) pronunciato in occasione della manifestazione per il Giorno della Memoria dello scorso 27 gennaio (organizzato a Napoli dal Centro Internazionale di Ricerca Bioetica), di prossima pubblicazione sugli Atti congressuali. Il titolo dato da Camilla al suo saggio riproduce il verso posto a chiusura di una strofa della poesia “Sprich auch Du”, “Parla anche tu”, composta per la raccolta del 1955 “Von Schwelle zu Schwelle”, “Di soglia in soglia”: “Wahr spricht, wer Schatten spricht”, “Dice il vero chi dice le ombre” (ed. it. in Celan, Poesie, Mondadori 2012).
Questa la strofa di Celan evocata da Camilla:
Parla – Ma non dividere/ Il sì dal no./ Da’ anche senso al tuo pensiero/ Dagli ombra./ Guardati intorno:/ vedi come in giro si rivive –/ Per la morte! Si rivive!/ Dice il vero chi dice le ombre. .

“Sono versi – commenta Camilla – in cui riecheggia con forza il tema di quali siano le modalità di cui il presente dispone per ricordare. Quando ritorna il sole, quando, dopo la lunga notte, ricomincia la vita, un disorientamento abissale pervade il poeta. La terribile rivelazione che coglie Celan è che la luce assoluta non è meno insensata, accecante, “afasica”, della nerissima notte, dalla quale coloro che sono usciti finalmente ‘rivivono’”.
“La risposta del poeta – continua la Balbi – sarà allora un complesso movimento – lungo tutta una vita e lasciato drammaticamente irrisolto – alla ricerca di un senso, di un orientamento in grado di generare quello scarto, quella differenza, che sola può rendere significante la materia, trasformare il suono purissimo del buio e della luce assoluti in parole spurie”.
“Da’ anche senso al tuo pensiero. Dagli ombra”.

Ma c’è qualcosa, alla fine, al di là delle ombre? O siamo solo condannati, per sempre, a vivere tra di esse?
Una risposta la possiamo trovare, forse, in un’altra, grande poesia di Celan (che ho inserito in un mio piccolo libro d’arte, appena pubblicato: Se ti dimentico, Gerusalemme. Im eshkachèch Jerushalàim), intitolata I poli, così tradotta da Lorenzo Gobbi:
I poli/ sono in noi,/ impossibili da superare/ nella veglia,/ noi dormiamo/ attraversando, per la Porta/ della Misericordia,/ perdo te per te, questa/ è la mia consolazione di neve,/ di’, che Gerusalemme e s i s t e,/ dillo, come se fossi io questo,/ il tuo bianco,/ come se fossi tu/ il mio,/ come se potessimo senza di noi essere noi,/ io sfoglio te, per sempre,/ tu preghi, tu ci poni a giacere/ liberi.
Il verbo “esiste”, nell’originale tedesco, non era “existiert”, ma, semplicemente, “ist”, “è”. Giustamente Gobbi l’ha tradotto con “esiste”, perché Celan aveva spaziato “ist”, mettendo due spazi tra le tre lettere, per sottolineare l’assoluta importanza di quella parola, l’urgenza di quell'”essere”. E “ist”, in italiano, si dice “è”, una parola di una sola lettera, che non può quindi essere spaziata. In quelle tre lettere, solo in esse, si trova, forse, l’uscita dalle ombre: nel desiderio di sapere che Gerusalemme “è”. Ma non è una verità che asserisce Celan, bensì solo una dolorosa preghiera da lui rivolta al suo ignoto interlocutore: “di’, che Gerusalemme e s i s t e”, “i s t”. Lui non riesce a dirlo, gli occorre sentirselo dire. E, se è una consolazione, è una “consolazione di neve”.

Francesco Lucrezi