Masse e risentimento
In una conferenza tenuta a Vienna nell’aprile dell’oramai lontano 1967, il filosofo Theodor Adorno, un tempo molto noto, peraltro più citato che letto, nel raccontare anche di se stesso e del suo esilio americano durante gli anni del nazismo identifico e definì quelli che, a sua opinione, erano gli «aspetti del nuovo radicalismo di destra», sopravvenuto dopo il 1945 e ben presente in Europa. Il testo è stato pubblicato con il medesimo titolo in tempi molto recenti dalla casa editrice Marsilio di Venezia. Per definire quali fossero le connotazioni del neofascismo l’autore, particolarmente proclive agli approcci psico-sociali, si rifaceva alla struttura del fascismo storico, ed in particolare a quello tedesco. Nella ricostruzione di Adorno quest’ultimo produce sia un movimento di massa che un culto del capo. Le due cose si alimentano vicendevolmente, distruggendo tutte le mediazioni democratiche, la nozione di individualità per come il liberalismo è venuta definendola nel corso del tempo, quelle stesse forme di socialità che non siano totalmente funzionali al più feroce autoritarismo. In un vero e proprio trasporto collettivo, dove passo dopo passo decadono le forme di difesa rispetto alla menzogna, che si fa invece imperante poiché condivisa come una sorta di “rivelazione” quasi messianica. Tutto ciò deriva non dal gioco del destino bensì in ragione di un preciso disegno politico, tuttavia all’interno di un quadro economico e sociale dove al declassamento delle classi medie si accompagna la concentrazione di ricchezze in poche mani. Lo scambio è netto: agli individui, sempre più angosciati dalla loro condizione di crescente incertezza, vengono offerti illusori ma convincenti espedienti, vissuti come rassicuranti panacee per le loro paure. L’uso di un implacabile e apocalittico antisemitismo si inscrive all’interno di questo quadro di riferimento. Non è il prodotto di un obnubilamento della ragione né, tanto meno, di una temporanea “ignoranza” ma la dichiarata manipolazione delle ansie collettive e dei risentimenti comuni. La natura dei movimenti fascisti rimanda, da sempre, alla sospensione di qualsiasi forma di disposizione alla ragionevolezza, individuale e collettiva, a favore invece di un’identificazione fanatica, che viene vissuta come una sorta di rivoluzione degli spiriti, finalmente liberatisi delle inutili mediazioni e quindi incanalati verso un obiettivo: ripulire la società dai “parassiti”, fare a meno di un obsoleto pluralismo, sentirsi parte di una “comunità di stirpe e di popolo” etno-razziale (l’unico legame presentato come degno di essere condiviso) così come il «marciare per non marcire» ed altre cose di tale genere. Non sono sciocchezze; semmai sarebbe superficiale il continuare ancora oggi, dopo tanti anni, a considerarle tali. Il fascismo fa appello all’individuo che si sente bistrattato dai tempi ed emarginato dai cambiamenti per offrirgli una menzognera ma rassicurante soluzione. Gli dice che potrà tornare a contare qualcosa se sarà parte di un movimento basato sulla distruzione delle libertà. Della falsità di un tale stato di cose, si incaricherà il tempo a dirlo, quando però sarà troppo tardi. Adorno non indulge mai in moralismi, anche se i suoi convincimenti etici sono manifesti. Come tale, al netto del profilo psicologico di massa del fascismo che va ricostruendo, nel medesimo tempo riconduce queste dinamiche ai mutamenti che interessano le società dal momento in cui le diseguaglianze si fanno troppo pronunciate, consegnando i “già garantiti” alla sgradevolissima sensazione di rischiare un’infinita retrocessione civile. Poiché, come movimento politico, ideologico ma anche sociale, riesce a raccordare gli effetti delle grandi crisi di trasformazione, dove una parte della collettività si sente proiettata all’indietro, con gli interessi di quegli stessi gruppi ristretti che invece da tali trasformazioni sono beneficiati. Non è un paradosso ma sta alla radice dei fascismi come fenomeni moderni: motivare gli individui ad agire contro se stessi, nel nome di una “rivoluzione” che è regressione totale.
Claudio Vercelli
(12 luglio 2020)