La parodia è una cosa seria
Negli anni ’20 del Novecento un imprenditore ed editore modenese brillante e fuori dagli schemi come Angelo Fortunato Formiggini – le cui energie saranno concentrate nel dare valore alla storia del comico – incarica un altro ebreo italiano, il diplomatico e giornalista Paolo Vita-Finzi, di realizzare una contro-storia della letteratura italiana. Attraverso la forma della parodia, Vita Finzi riscrive a suo modo i grandi autori dell’Ottocento e del Novecento italiano, da D’Annunzio a Pirandello. L’opera (Antologia apocrifa), già dalla sua prima edizione del 1927, è un successo e Vita-Finzi continuerà il suo lavoro anche dopo la tragedia che colpirà il suo editore, Formiggini, che arriverà al gesto estremo di togliersi la vita a causa della persecuzione fascista. A spiegare il ruolo della parodia e il suo legame con l’Italia ebraica dell’Ottocento e Novecento, il critico letterario Alberto Cavaglion nell’ultima puntata della rubrica “pagine di letteratura”. La verità non si può imitare, tutto il resto sì, affermava Vita-Finzi. “Calarsi nei panni altrui diventerà una esigenza primaria negli anni della persecuzione, nel periodo delle carte false, delle fittizie identità, dei neo-marranesimi coatti, quando uscire da se stessi significava salvarsi la vita”, spiega oggi Cavaglion, ricordando, tra gli altri, le parole di una grande attrice che quest’anno compie 100 anni, Franca Valeri (Norsa): “Prima ingannai i fascisti e presi il diploma. Poi cambiai identità: ci fu un momento in cui io non ero io; ma così sfuggii ai nazisti. Questo mi ha aiutato a sentirmi ebrea, come mio padre”. Valeri diventerà, ricorda Cavaglion, “l’ultima campionessa della parodia serio-burlesca del Novecento teatrale”.