Lotta alla violenza sulle donne,
gli studenti presentano le loro idee

Vincitore di un bando della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il progetto “Not in my name. Ebrei, Cattolici e Musulmani in campo contro la violenza sulle donne”, avviato lo scorso autunno e sviluppato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane come ente capofila, ha visto il mondo della scuola al centro di molti sforzi e impegni. A confronto con questa delicata tematica trenta studenti del triennio delle Scuole secondarie superiori per ciascuna delle città interessate dal progetto (Roma, Milano e Torino), accompagnati in un percorso di formazione che è passato anche dall’organizzazione di alcuni seminari che hanno permesso di approfondire l’argomento da molteplici punti di vista e sensibilità. Un percorso il cui momento conclusivo avrebbe dovuto svolgersi in primavera a Milano. Naturalmente, per via dell’emergenza sanitaria, ciò non è stato possibile. Ma un primo bilancio è stato comunque fatto in queste ore, mettendo a confronto a distanza organizzatori, formatori, studenti. Assieme ai rappresentanti UCEI quelli degli altri enti, a partire da Comunità Religiosa Islamica Italiana e Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, che hanno contribuito all’iniziativa. Fondamentale, è stato inoltre ricordato, il supporto di Fondazione Cdec, Adei Wizo e Isa.
“Tutti i risultati che abbiamo raggiunto li dobbiamo al fatto di aver lavorato insieme per un obiettivo. Il mio ringraziamento va in particolare a tutti i ragazzi che ci hanno donato riflessioni, speranze, modi di vedere. Il loro aiuto è stato essenziale per cogliere dove si colloca e come affrontare questa problematica” ha sottolineato in apertura di incontro la Presidente dell’Unione Noemi Di Segni. “Un progetto coraggioso e necessario” ha poi affermato il direttore dell’Unar Triantafillos Loukarelis, ricordando come fino a pochi anni fa in Italia il delitto d’onore fosse accettato e lo stupro ritenuto un reato contro la morale pubblica e non contro la persona. “Si tratta – la sua riflessione – di un problema culturale che ancora esiste e che siamo lontani dall’aver risolto”. 
A prendere la parola è stato poi il rav Roberto Della Rocca, direttore dell’area Educazione e Cultura dell’Unione, che ha sottolineato come nell’ebraismo il ruolo femminile sia più legato all’interiorità ma anche come in tutta la letteratura ebraica “dietro l’apparente protagonismo maschile ci sia sempre una regia femminile”. Una centralità, ha poi aggiunto, resa evidente anche dalla trasmissione matrilineare dell’ebraicità. 
Ad intervenire anche Anita Cadavid, dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, che ha parlato di “lavoro costruttivo, che deve proseguire nel tempo” e della necessità di rafforzare la cornice “di un’alleanza sociale che ci permetta di contrastare ogni violenza”; Aisha Lazzerini, della Coreis, che ha messo l’accento sulla possibilità che è stata data a tutti i partecipanti di “dotarsi di strumenti pratici, anche grazie agli importanti interventi di professionisti del settore”; Chiara Ferrero, presidente della Interreligious Studies Academy, che ha apprezzato “l’attenzione e l’intelligenza” dei ragazzi coinvolti e si è detta convinta che sia necessario “rivedere l’idea che si ha oggi dei giovani come scarsamente interessati e poco propensi a contribuire da un punto di vista intellettuale”. 
La parola è poi passata a Raffaella Di Castro e Domitilla Melloni, le curatrici del programma didattico di Not in My Name. E all’attore Fabio Michelini, che ne è stato uno degli animatori. Ciascuno ha portato un bilancio e offerto un suggerimento a tutti i partecipanti. 
L’incontro online, moderato da Mustafa Roma della Coreis, si è concluso con la premiazione dei sei progetti presentati dai ragazzi che sono stati ritenuti più meritevoli. A vincere, con voto unanime della giuria, il progetto #notInMyNameChallange presentato da un gruppo di studenti degli istituti Caravaggio e Seneca di Roma. La loro idea è stata quella di usare un popolare social network come Instagram per coinvolgere i giovani e il pubblico in generale in una campagna informativa di sensibilizzazione. Tramite l’utilizzo delle “stories” di Instagram, il progetto si propone una serie di domande in forma di quiz le cui risposte sono accompagnate da mini-approfondimenti e informazioni utili. Fra i pregi di questa elaborazione, secondo la giuria, vi sono “la creatività e la capacità di coinvolgere in modo originale altri giovani, creando interesse su un tema delicato in modo accessibile e persino con un elemento di gioco”. 
Grande apprezzamento è stato in ogni caso espresso per tutte le proposte pervenute. 

(13 luglio 2020)