Santa Sofia e l’identità altrui

A ciascuno i suoi punti di riferimento.
Da tempo immemorabile, per me, Santa Sofia è l’immagine della visione più alta in una Bisanzio della mente a cui William Butler Yeats ispirò due dei suoi più alti esiti poetici. La “cupola rischiarata dalle stelle o dalla luna sdegna […] la furia e il fango delle vene umane”, i suoi mosaici e i suoi smalti a simbolo della perfezione e della purezza dell’arte, immagine ultima del distacco assoluto dalla natura per un’agognata ma impossibile ascesa verso l’assoluto dell’arte, verso un irraggiungibile ‘artificio dell’eternità’. Per me, Santa Sofia non è mai stata un luogo di culto religioso, ma lo spazio immateriale della più alta aspirazione estetica del forse più grande poeta del Novecento.
Ora, ho anche appreso che Santa Sofia è stata chiesa e poi moschea e poi museo e ora di nuovo moschea. E le fedi se la contendono. Erdogan la usa per esprimere tracotante la sua ansia incontenibile di dittatura, il papa si addolora per la nuova destinazione e per la perdita di identità di un luogo sacro e ricco di significato per il cristianesimo.
Ogni notizia suscita sentimenti, a volte anche contraddittori. Ogni notizia stimola la riflessione.
Non è certo, questo, il primo caso di un luogo di culto profanato da una appropriazione indebita da parte di una diversa cultura religiosa.
Viene alla mente la sinagoga di Trani, convertita in chiesa; l’ebreo che vi prega, oggi, è costretto a volgere lo sguardo dalla presenza ingombrante e prevaricatrice di una croce sovrimposta non ricordo bene dove. Viene alla mente la sinagoga di Cordova, dove pregava Maimonide, consacrata in chiesa, e anch’essa, se il ricordo mi soccorre correttamente, con il segno della croce sull’altare. Tornano alla mente Santa Maria la Blanca e il Trànsito, a Toledo, sinagoghe convertite in chiese. E Santa Maria la Blanca a Siviglia, moschea e poi sinagoga e poi chiesa. E la grande moschea di Siviglia, distrutta per costruirvi una cattedrale. E l’imponente moschea di Cordova, oggi cattedrale dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima. Quanta violenza fatta alla cultura e alla fede di tanta gente, e alla loro identità, a seguito magari di tanta violenza fisica e di tanto esilio. Il dileggio delle sconsacrazioni e delle riconsacrazioni è la peggior violenza che si possa fare a una cultura e allo spirito della convivenza umana. E al rispetto dell’identità altrui.
Non si vede dunque di che cosa ci si stia lamentando. A buon diritto, si potrà invocare lo spirito della contestualizzazione storica, la diversa sensibilità dei tempi, e quant’altro si vorrà per difendere il proprio e condannare l’altrui. Ma ben di rado una civiltà si è impegnata a restituire ai proprietari legittimi il maltolto e i segni della loro identità.
Se sul Monte del Tempio, a Gerusalemme, si sono costruite due moschee, e se tutt’oggi il diritto internazionale può dubitare che quei luoghi siano luoghi ebraici, allora tutto può essere rimesso legittimamente in discussione. Anche l’identità cultuale di Santa Sofia.
Ora, dunque, si può iniziare a interrogarsi sul valore delle identità altrui e su che cosa significhi rispettarle.

Dario Calimani, Università di Venezia