Marcello Tedeschi (1925-2020)
Conosciuto da molti ebrei torinesi come il medico di riferimento della locale casa di riposo ebraica, incarico svolto con passione per numerosi anni, Marcello Tedeschi era nato a Ferrara e aveva raggiunto il capoluogo piemontese, dal dopoguerra, per specializzarsi ed esercitare la professione.
Una storia emblematica di quella generazione e delle difficili prove cui fu sottoposta. Ma anche della straordinaria determinazione mostrata nel rialzare la testa.
Tedeschi l’aveva elaborata in una intervista di qualche anno fa con Hakeillah, l’organo del Gruppo di Studi ebraici della Comunità di Torino. Dalla gioventù ferrarese nella scuola in cui furono costretti gli studenti ebrei colpiti dalle Leggi razziste, con Giorgio Bassani tra i suoi insegnanti, alla rocambolesca fuga in Svizzera, dalla sfida di rimboccarsi le maniche per contribuire alla ripartenza del Paese, alle prime funzioni nella sua nuova città con davanti a sé la “ieratica figura” del rabbino Disegni. E ancora l’immersione negli studi, la carriera, gli affetti.
Padre di Ermanno, Lino e Arturo, Marcello Tedeschi era figura molto amata e apprezzata. I funerali si concluderanno con la sepoltura nel cimitero ebraico di Ferrara.
Sia il suo ricordo di benedizione.
Di seguito l’intervista concessa nel 2013 a Hakeillah
Marcello Tedeschi: medico alla Casa di Riposo
Marcello Tedeschi è per lo più noto a molti ebrei torinesi come il medico che per lunghi anni ha seguito gli ospiti della Casa di Riposo ebraica. Ma la sua vita ed esperienza a Ferrara, prima di venire a Torino stabilmente, sono meno note: abbiamo pensato così di unire in questa chiacchierata le vicende umane che lo hanno accompagnato prima a Ferrara, poi a Torino.
Com’era la vita ebraica a Ferrara durante la sua gioventù? Era una Comunità vivace quella ferrarese?
Faccio parte di quel gruppetto di correligionari che da Ferrara si sono trasferiti a Torino.
Dato il tempo trascorso e… il rallentamento dei neuroni cerebrali molte cose, e particolarmente i nomi propri, un po’ mi sfuggono! Ma, se ho ben capito, sono più le mie impressioni di vita che interessano che non episodi dettagliati.
Ebbene, io ho vissuto il periodo delle “elementari” a Ferrara frequentando la ben nota scuola di via Vignatagliata per lo studio, mentre insieme alla famiglia frequentavo invece la Sinagoga di Via Mazzini, logicamente il Tempio di rito tedesco. Ricordo con struggimento la maestra Elisa Ascoli, già anziana e che fu insegnante di più generazioni; sua sorella era la famosa Nuta, produttrice di salami d’oca in via Mazzini. La maestra Ascoli subì anch’essa l’atroce martirio! Altra figura di maestra che ricordo è Gina Schönheit con il marito Carlo, hazan. Nei giorni di Pesah grandi e piccini celebravano la ricorrenza in Comunità e mi rammento Carlo: “con questa insalatina tutte le erbe son buone purché si dica prima la sua benedizione!…”
Nel 1935 la mia famiglia andò ad abitare a Venezia, essendovi stato straferito mio padre Ermanno, in seguito a promozione a ingegnere capo del servizio lavori delle Ferrovie dello Stato. È a Venezia che ho fatto il bar-mitzvà con il rabbino Ottolenghi.
Quali sono stati i momenti più drammatici nella sua vita durante la guerra e le persecuzioni razziali?
Di Venezia rammento confusamente le lunghe marce in camicia nera da balilla e persino i littoriali della cultura! Poi di colpo estromessi con un calcio, appena proclamate le famigerate Leggi.
Rientro a Ferrara; quarta ginnasio e classi successive nella scuola “parificata” di via Vignatagliata, ove la vita culturale era abbastanza intensa in rapporto con i tempi grami…! Persino quella sportiva. Un pugile di cognome Lampronti (non ricordo il nome) abbastanza noto e affermato, mi sembra nei pesi medi, era rimasto letteralmente senza lavoro: venne assunto per lezioni di ginnastica nella scuola e per insegnare la boxe ad alcuni interessati. Tra questi ultimi, oltre al sottoscritto, c’era Giorgio Bassani (docente naturalmente della scuola) e Gegio Ravenna, successivamente superstite di Auschwitz perché protetto dal dr. Leonardo De Benedetti che l’ebbe vicino nel suo lavoro, facendolo passare per studente in Medicina.
Ho studiato e dato esami a Ferrara dove l’apartheid era generalmente osservato, forse trattandosi di una piccola città.
A Ferrara le persecuzioni da quanto si è letto sono state particolarmente cruente. Come è stato vissuto il dopo 8 settembre ’43 dalla sua famiglia?
Mi pare a metà settembre, mentre la mia famiglia era sfollata in campagna, io mi recai presso un’officina di biciclette per una riparazione. Proprio in quel momento (e in coincidenza con un cambio al vertice nel comando della guarnigione tedesca in città), era stato avviato un blitz contro ebrei e presunti antifascisti. Per un pelo me la sono scampata essendo in quel momento uscito di casa! È stata poi la portinaia a dare l’allarme! Questo per dire (tralascio le successive vicende mie e della mia famiglia) che il fatto è stato ignorato anche nell’ambiente ebraico, essendo noi fuggiti precipitosamente senza lasciare tracce! È questo fu tra gli altri anche il motivo per cui molti altri membri della Comunità di Ferrara si sono ingannevolmente lasciati arrestare nella falsa idea che la deportazione di Fossoli fosse per caso un bluff! Dalla Svizzera, dove rocambolescamente ci eravamo rifugiati, si ritornò a Ferrara a guerra finita. I miei genitori si sono, come tutti, rimboccati le maniche per ricostruire. I miei fratelli più giovani hanno potuto in qualche modo ricrearsi un ambiente. Io ho studiato in full immersion per laurearmi in circa quattro anni in Medicina.
L’arrivo a Torino e l’impatto con una Comunità diversa e più grande cosa hanno rappresentato per lei?
Mi sono trasferito a Torino presso la scuola di Medicina interna diretta dal Prof. Giulio Cesare Dogliotti. A Torino avevo anche qualche parente: Lattes, Terracini ecc.
Indubbiamente fui coinvolto dall’impressione positiva che mi fece una Comunità più grande. Un ambiente accogliente, che sentivo amico. Tutto ciò rappresentava per me un grande appoggio. Al venerdì sera andavo al Tempio a seguire le funzioni di una figura ieratica quale era il Rabbino Disegni. Per il resto del tempo vivevo in ospedale, come assistente volontario e specializzando, figure che allora tutto davano e nulla ricevevano se non l’esperienza. La clientela ce la cercavamo fuori per conto nostro!
Per molti anni è stato il medico della Casa di Riposo ebraica di Torino. Che cosa ha rappresentato per lei questa esperienza e che ricordi ha?
L’amico dott. Leonardo De Benedetti ad un certo punto della sua vita si accorse che, in seguito all’ipoacusia, non riusciva a distinguere allo stetoscopio i rumori più fini del cuore. Da persona inflessibilmente corretta qual era decise quindi di ritirarsi dalla professione e mi propose di subentrargli nella “Casa di riposo ebraica”.
È stata un’esperienza gratificante per il sottoscritto! Perbacco: era un’occasione per vivere e conoscere di più l’ambiente ebraico, unitamente ad una professione che più di ogni altra dava possibilità di attuare un volontariato! Ho avvicinato quindi persone, specialmente donne, che facevano rivivere un certo ambiente ebraico di primo Novecento. Di diversa estrazione culturale. Ricordo la prof. Luisa Levi, che tra l’altro d’estate andava in auto con il dott. De Benedetti e il prof. Arrigo Vita oculista, in Abruzzo a Pescasseroli. Il prof. Vita era stato con me spaccalegna durante il rifugio in Svizzera in campo di raccolta. Poi la prof. Arian Levi, di recente scomparsa e che tutti conoscono. Ma c’era anche la ex ricamatrice, il nome non lo ricordo! (Sofia Verona, n.d.r.), che credo abbia anche lavorato per Casa Savoia. Ma è solo per ricordare che, ripresasi da una perdita di coscienza dovuta più che altro all’età quasi centenaria, cominciò a muovere le labbra e sillabare: “duutur, ca disa: potrò ancora mangè i ravanin?” Ma poi nel complesso tutti i pazienti nella Casa di riposo rappresentavano una vita, fatta di esperienza, di sentimento e di conoscenza!
Quali sono lei gli aspetti che potremmo definire più ebraici nella professione del medico?
Bene: qui ci sarebbe da scrivere fin che si vuole! Indubbiamente la storia ci dice qualcosa ove i medici ebrei sono stati riconosciuti positivamente per quella sensibilità, umanità, esperienza di vita e autoriflessione che la nostra fede e soprattutto la nostra impostazione di vita individuale-universale ci impongono in quanto Ebrei.
Come vede oggi la sua Comunità?
Come vedo oggi la nostra Comunità. Bene, non saprei cosa dire: i problemi ci sono, ma c’è anche l’entusiasmo; indubbiamente è attiva e impregnata di quello spirito vitale di ripresa che solo un ambiente ebraico può esprimere!. Auguro a tutti di diventare in tarda età come quelle significative, intelligenti e umane figure di anziani con le quali ho avuto colloquio durante la mia attività alla Casa di riposo!
Giulio Disegni (Hakeillah)
(16 luglio 2020)